Paola Maiolini: la donna mediterranea

Intervista a Paola Maiolini, una starlet dal fascino mediterraneo e dalle forme mozzafiato.
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Paola Maiolini appartiene a quella schiera di starlettes che negli anni Settanta caratterizzarono un’epoca cinematografica unica e irripetibile. Sarebbe però ingiusto intruppare le sue forme mozzafiato e un volto mediterraneo che anticipava i fasti di Sabrina Ferilli, con quelli di tante altre ambiziose stelline filanti che hanno lavorato nel suo periodo. Paola non voleva né aveva bisogno di “arrivare” e il cinema lo ha fatto essenzialmente per divertirsi. A quanto pare, essendoci riuscita. Difficilissimo, peraltro, ricostruirne una filmografia attendibile, visto che Paola dal 1973 al 1978 deve avere traversato molti più set di quanti lei stessa ricorda e che noi riusciamo a  identificare.

Paola, se sono riuscito a trovarti è solo grazie al tuo ex agente Tony Askin, che si è dato molto da fare…

Beh, Tony ti avrà detto che io all’epoca lo facevo abbastanza tribulare… (ride). Sai, io ho iniziato a fare cinema che avevo 19 anni, avevo da pochissimo finito il liceo artistico.

Tu sei romana?

Certo, sono nata a Roma…

Iniziai così, per caso: stavo con una mia amica, in una boutique, quando Tony Askin mi notò e mi disse che secondo lui avevo la faccia giusta per fare cinema. Il problema è che io gli davo un sacco di buche, al povero Tony (ride)… Infatti, già al primo appuntamento, non mi presentai (ride).

Era disperato: «Ma come?! Io te trovo lavoro e tu me dai buca?!». Tra l’altro, in famiglia, io avevo una mia zia che aveva fatto cinema, Alba Maiolini, un’attrice di cinema e di teatro che aveva lavorato molto… Adesso è morta. E quando avevo diciotto, diciannove anni, era stata proprio questa mia zia a chiedermi se mi andava di fare qualche Carosello: così cominciai a fare la pubblicità del Martini, del Dixan, anche con qualche particina importante, in questi Caroselli.

E dopo è venuto il cinema…

Io ho sempre fatto il cinema in una maniera, diciamo così, un po’ superficiale. Non mi volevo privare delle mie cose… e poi arrivo da una famiglia benestante, per cui non mi serviva fare cinema per guadagnare, per sostenermi, l’aspetto economico era l’ultimo dei miei pensieri. Lo facevo solo e soltanto per divertimento. Tony mi ha conosciuto, tra l’altro, quando io ero fidanzatissima, con una persona che apparteneva al mondo dello spettacolo…

Enrico Ciacci, il fratello di Little Tony…

Sì… E in quel periodo tante cose non le capivo. Nel senso che mi proponevano, ad esempio, di uscire, la sera, di fare vita di società, e io, il più delle volte, non ci andavo. Ti racconto solo che Castellacci e Pingitore mi offrirono di fare la Donna dei sogni con Enrico Montesano, e io gli ho detto di no, perché uscivo a mezzanotte. No, non amavo molto frequentare l’ambiente… Per cui, “non è stato”.

Diciamo anche che quel periodo, lavorativamente, non era bellissimo… Perché spesso e volentieri ti affibbiavano un’etichetta e non te la levavi più.

Io avevo un fisico molto esuberante, procace, per cui, appena mi vedevano, pensavano subito a farmi fare film di un certo genere.

Arrivando da una famiglia un po’ patriarcale, vecchio stampo, anche da questo sorgeva qualche problema. Tieni anche presente che allora non c’erano le televisioni private… intendo dire che la visibilità e un minimo o un massimo di notorietà, lo ottenevi solo facendo il cinema. E il cinema che mi offrivano di fare, era, salvo pochi casi, di un certo tipo.

Andiamo per gradi Paola. Io mi baso su una tua filmografia che sono certo essere abbastanza incompleta: il primo film che hai girato, ti ricordi qual è stato?

Beh, il primo importante è stato A mezzanotte va la ronda del piacere

Che è del 1975…

Ma no, l’ho girato sicuramente prima…

Io ti ho identificata in un decamerone del 1973 che è conosciuto con due titoli: Perdonate padre Lorenzo… e Confessioni segrete di un convento di clausura. Interpretavi Suor Clomira, ti ricordi…?

Mamma mia… questo non me lo ricordo! Sai che c’è? Che io di film dentro ai conventi ne ho fatti più di uno (ride). Ma questo che dici era in costume? Perché io uno in costume mi ricordo di averlo girato con Di Silvestro…

No, con Di Silvestro hai girato Baby Love, ma a fine carriera, nel 1978…

Guarda, adesso, facendo mente locale, ti posso dire che io devo aver iniziato a fare qualcosina in cinema già nel 1972…

Il titolo Africa erotika ti dice qualcosa…?

Sì, quello l’ho fatto, come no?

Viene attribuito a Ken Dixon ma pare lo abbia girato Guido Zurli: o perlomeno, la sua supervisione è stata essenziale…

No, no, no… lui, il regista, io me lo ricordo straniero, un biondo. Non ricordo il nome, ma che fosse straniero sono certa, anche se con lui io ho avuto pochissimi contatti. Praticamente, il film era la storia in chiave erotica di Robinson Crusoe. C’era un ragazzo di colore e il protagonista, quello che interpretava Robinson Crusoe, era un americano, un bel ragazzo, pure lui biondo…

Larry Casey…

Sì… Il film, se non ricordo male, lo abbiamo girato vicino a Sora ed è stata comunque un’esperienza poco bella, perché faceva un caldo infernale e poi l’organizzazione lasciava molto a desiderare.

Ti ricordi qualcuna delle tue colleghe attrici che stavano su quel set?

No, nessuna, salvo la protagonista, che era una bionda, altissima, tipo “stampella” (ride). Però non mi ricordo come si chiamava.

Parliamo di Il padrone e l’operaio, di Steno, con Renato Pozzetto: questo è uno dei film “grossi” che hai girato…

Fu una bellissima esperienza! Oltre a Pozzetto c’era Teo Teocoli, tutti e due molto simpatici. Il mio personaggio era carino, perché facevo un’operaia comunista ma con una bella verve comica… Tra l’altro, a me i caratteri comici sono sempre andati più a genio.

Dove avete girato?

A Milano. Stavo in un residence.

In quel periodo già ti rappresentava, come agente, Tony Askin, vero?

Sì, certo.

Te lo chiedo perché nel cast di Il padrone e l’operaio trovo un’altra ragazza dell’agenzia di Tony, una cecoslovacca che si chiama Alena Penz…

No, non mi pare di averla mai conosciuta: io, delle ragazze di Tony, conoscevo Franca Gonella, una russa, Inga, e poi un’altra ragazza di colore, molto, molto bella, con la quale avevo partecipato a Lady Universo… Sì, perché ho partecipato anche a Lady Universo, con Miss San Marino, e mi pare che sia stata proprio la ragazza di colore a vincere. C’eravamo io, Inga e questa nera, in concorso.

Una delle ragazze con cui avevo più legato, era comunque Patrizia Webley: con lei ho avuto un bel rapporto e abbiamo poi fatto insieme Salon Kitty. Ecco, con lei e poi con Maria Rosaria Riuzzi

Amori, letti e tradimenti, di Alfonso Brescia, lo hai presente?

Sì, ma ti posso giusto dire che avevo un piccolo ruolo, niente più. Diciamo che io i film più importanti me li ricordo abbastanza bene, ma ce ne sono parecchi dei quali tu mi puoi dire i titoli e io ti posso rispondere: «Sì, c’ero…», ma proprio non mi ricordo niente. Anche perché, spesso, avevo solo pochissime pose… Quelli che ho ben presenti sono Tutto a posto e niente in ordine, di Lina Wertmuller, Il padrone e l’operaio, Remo e Romolo, La ronda del piacere, cioé le cose più importanti che ho fatto…

In A mezzanotte va la ronda del piacere ti toccava un bel ruolo, come fidanzatina di Giancarlo Giannini, con la quale lui doveva far ingelosire Monica Vitti… Che si è ingelosita anche nella realtà…

Sì, Monica Vitti con me non è stata molto carina, mi ha costretto a cambiare colore di capelli, perché era rossa come me. Io all’epoca avevo i capelli rossi, un biondo-rosso come il suo, e la Vitti si impuntò per farmi mettere la parrucca. Come tutte le primedonne… parliamo di quando io avevo vent’anni e lei era già un po’ grandina, per cui…

La Vitti era quella che comandava, lì. Con Giancarlo Giannini, invece, ho avuto un bellissimo rapporto, di grande simpatica: era umile, oltre che essere un magnifico attore. Quel che lui tira fuori quando fa cinema, è esattamente ciò che ha dentro come uomo, la sua sensibilità. A me, sinceramente, la Vitti era sempre stata antipatica, anche prima di conoscerla. Adesso, poverina, so che ha tanti problemi, perché è malata di Alzheimer…

Il regista era Marcello Fondato…

Non ti posso dire molto su di lui. Io ho avuto, tra i registi con i quali ho lavorato, un ottimo rapporto con Steno, che era simpaticissimo; e un pessimo rapporto con quel tipo con cui ho girato Le lunghe notti della Gestapo

Fabio De Agostini… Sai che a me quel film non spiace?

Guarda, su quel set ho avuto un sacco di problemi: io sono sempre stata un carattere molto indipendente e questo regista voleva, invece, comandarmi a  bacchetta. Non solo sul set, mentre si girava. E questo era il problema fondamentale.

Questo De Agostini si incavolava se non mangiavo al tavolo con lui e, peggio ancora, mi entrava in camera senza bussare.

L’ha fatto una volta ma la seconda non l’ha fatto più, perché io l’ho messo subito sull’attenti: «Il lavoro e la mia vita privata sono due cose completamente diverse…». A metà film m’ero ingrassata e lui mi disse che mi avrebbe bruciato sulla scena… Pensa tu, che folle! In più ci si mise mia madre a dirgli che ero “una sbandata”.

Perché ce l’aveva tanto con te?

Essenzialmente perché preferivo compagnie diverse dalla sua. Probabilmente, lui pensava che ci sarei stata, non lo so… Io non è che fossi una piantagrane, però il discorso è questo: decido io con chi stare e con chi non stare.

Quindi, ci provava…?

Ma non lo so: per quanto mi riguarda, si era preso la libertà di entrare nella mia camera senza nemmeno bussare. Io dormivo insieme a una segretaria di edizione, con la quale eravamo amiche, si chiamava Annamaria Liguori. Lei tante volte usciva prima di me dalla camera, lasciava la porta aperta e lui entrava senza bussare. Ci fu una discussione per questo fatto. Io, poi, sul set avevo due amici coi quali avevo fatto dei film in precedenza, un truccatore e un parrucchiere, e tante volte la sera cenavamo insieme. E al regista, questo dava molto fastidio, perché pretendeva che io mi sedessi al tavolo con lui e con il produttore.

 

Nelle Lunghe notti della Gestapo, comunque, il tuo personaggio è tra i più rilevati, insieme a quello di Isabelle Marshall. Eravate proprio una “strana coppia” in quel film…

Anche con Isabelle ho avuto un bel rapporto. Era francese e anche un po’ snob, però molto simpatica. Si stava bene con lei. Era anche abbastanza bravina come attrice. Mentre quello che proprio non andava, lì, era Ezio Miani… che c’aveva sì del tedesco, ma era un cane incredibile. Ezio era dolcissimo, bellissimo, ma da fumetti… Una cosa che ricordo del film, allucinante per me, è la scena in cui muoio, per le scale. C’è stata una disputa senza fine perché dovevo morire con gli occhi aperti… Dovevo morire uccisa e cadere per le scale: io chiudevo gli occhi, mentre il regista pretendeva che li tenessi aperti, anzi spalancati.

Avete girato in Lombardia, giusto?

Sì, vicino a Cantù. Siamo rimasti quasi un mese in questo castello.

Ma li andavi a vedere i tuoi film, quando uscivano al cinema, Paola?

Sono andata a vedere Remo e Romolo e Il padrone e l’operaio, solo qualcosa… perché ogni volta che andavo al cinema, mi vedevo orrenda. Di un brutto, ma di un brutto! L’unico film in cui mi sono vista un po’ carinella, è giusto Remo e Romolo, ma gli altri… mamma mia, quanto mi vedevo brutta…!

Parliamo, allora, del film di Castellacci e Pingitore…

Beh, un’esperienza bellissima: sia per il rapporto che ho avuto con Vittorio Cecchi Gori, sia per tutta la troupe del Bagaglino, a cominciare dai registi… Vittorio Cecchi Gori lo incontrai sul set, perché lui mi venne a guardare dopo che gli avevano fatto una chiacchiera su di me…

Una chiacchiera?

Mi raccontò che qualcuno gli aveva suggerito di “andare a vedere la Maiolini sul set” perché ero proprio “un cesso”. Testuali parole. Poi venni a sapere che l’artefice di tutto questo inghippo era stata un’attrice che aveva fatto la valletta con Mike Bongiorno, non mi ricordo adesso come si chiamava… e, tra l’altro, era un cesso lei.

Questa attrice era pure lei nel cast di Remo e Romolo?

No, no… Questa era semplicemente invidiosa del fatto che avessero scelto me per il film. Quando Cecchi Gori mi vide, disse: «Madonna!… La gente è proprio cattiva…». Capirai, io avevo vent’anni… Insomma, siamo diventati amici e siamo rimasti amici anche dopo il film. Con Vittorio c’è stata un’amicia durata un bel po’ di tempo… All’epoca, lui ancora stava con Maria Grazia Buccella.

Hai incontrato anche Gabriella Ferri, sul set…

Come no? Una volta ero nella roulotte, lei venne, mi guardò e mi disse: «Senti, è inutile che fai ‘a fanatica, sai! Perché tanto all’età tua ero bella pure io…» (ride). Invece, Montesano mi diceva sempre che avevo un non so che di Isabella Biagini, quando aveva vent’anni: «Sei più magra, però assomigli alla Biagini a vent’anni…»; poi mi guardava e mi faceva: «Guarda che la Biagini era bella…!».

L’anno scorso l’hanno ritrasmesso in televisione, tant’è vero che l’hanno visto pure i miei figli… Un ricordo molto piacevole, perché il personaggio mio era simpatico… sì, è vero che stavo col perizoma nella scena del ratto delle Sabine, però il film è ironico, divertente, il cast è azzeccato.

Dopo Remo e Romolo mi erano arrivate diverse proposte di lavoro, che io ho spesso anche rifiutato. A un certo punto, Tony mi disse che c’era la possibilità di andare all’estero per tre mesi, per un grosso film, e io dissi di no. Dovevo giocare di più…

Cosa intendi per “giocare”?

Ma sì… io ricevetti le chiamate di moltissime persone che si proponevano di farmi da agente. Una di queste, era l’agente di Gloria Guida, un certo Giglioli. Io però volevo bene a Tony, mi trovavo bene con lui, e quindi dissi di no.

Ma mi arrivarono pure chiamate da parte di altri agenti grossi… ma io, come già ti ho detto, non curavo i miei interessi, non me ne fregava nulla. Non c’ho mai creduto. Poi, parliamoci chiaro: all’epoca, per emergere e per fare qualcosa di decente, dovevi andare a scuola, studiare recitazione. Altrimenti il massimo che potevi fare era Giovannona Coscialunga. Io ho sempre avuto anche un difetto di di pronuncia, perché ho un’esse sibilante.

Era un periodo in cui non ti salvavi, senza studio. Adesso è diverso, perché oggi ci sono tremila attricette che non hanno mai fatto niente e sono lo stesso conosciute. Noi, almeno, i film, belli o brutti che fossero, li dovevamo girare per farci conoscere, mentre queste basta che vanno una volta in tv e tutti ne parlano.   

Altro titolo: Cuginetta… amore mio!

Là faccio la cameriera brutta, che poi diventa un fiore (ride). Sinceramente non l’ho mai visto, ma mi ricordo che andò al cinema mia madre e mi disse che mi disconosceva come figlia (ride), che ero bruttissima e cicciona (ride).

Mi fece dei complimenti terribili… Io non l’ho mai visto.

Ziggy Zanger l’hai conosciuta?

Poco, me la ricordo come una che stava abbastanza sulle sue. Non vorrei confondermi, ma mi pare che in questo film ci fosse anche la biondina, Ely Galleani… Io con lei ho lavorato più di una volta: una ragazza simpaticissima, dolcissima, ci si stava proprio bene insieme. A me lei piaceva molto, perché era così longilinea, biondina… e dicevo sempre a tutti, sul set: «Ely è bellissima, davvero bella». Allora, i tecnici, la mattina quando arrivavo sul set, si mettevano a cantare: “La più bella sei tu…!” (ride). Io, sai, sono stata sempre un po’ il prototipo della donna mediterranea e, se vuoi, anche di un certo tipo di cinema degli anni Settanta.

Nel periodo della tua attività cinematografica più intensa, tra il 1975 e il ‘77, hai girato anche due commedie con Mariano Laurenti: Per amore di Poppea e La compagna di banco

Sai che ho un vuoto su questi due titoli? Se anche li ho fatti, non lo escludo, non li ricordo proprio. Ti posso, invece, dire che una di queste commedie anni Settanta l’ho fatta di sicuro con Barbara Bouchet, dove però avevo un ruolino piccolo piccolo. Il protagonista maschile era uno che aveva diverse amanti e io ero una di queste. C’era una scena in cui lui mi “suonava” come se fossi un contrabbasso: ero nuda, ripresa da dietro, di schiena… (ride).

Di Emanuelle: perché violenza alle donne? puoi raccontarmi qualcosa?

Sì, l’ho fatto… ero una delle ragazze violentate… no?

No, nel film di Massaccesi hai una scena con un’altra donna: siete su una barca e Laura Gemser vi spia, da dentro un armadio…

Allora, questo è un altro film, e va bene… Ma io ne ho girato uno, mi sembra proprio con Maria Rosaria Riuzzi, che parlava dello stupro delle ragazze al Circeo… lo ricordi, quel famoso caso di cronaca? Non mi viene in mente né il titolo, né il regista, ma ho ben presente questa scena dove venivamo violentate, che abbiamo girato qui a Roma, vicino alla Dear. Venivamo portate in questa casa e ci violentavano…

Poteva essere Roma, l’altra faccia della violenza

Sì, potrebbe essere quello…

Io ho il sospetto che tu in quei due, tre anni abbia fatto un sacco di film che non si conoscono, Paola…

Sì, ne ho fatti tanti, ma come ti dicevo, di molti non mi ricordo nulla o pochissimo. Salon Kitty, ecco, quello lo ricordo bene… Tinto Brass era un po’ pazzo, non era per niente facile lavorare con lui…

Perché?

Perché, tante volte, le scene che lui voleva girare erano molto, troppo forti.

Ovviamente era tutto finto, voglio dire i membri degli attori… Che erano talmente fatti bene che me ne portai via uno per farlo vedere ai miei amici. Erano con la gommapiuma dentro, ma realizzati benissimo. (ride).

E poi queste scene, gli accoppiamenti con i nani, eccetera… Io alcune cose, sinceramente, non mi sono prestata a girarle e le hanno fatte altre attrici che stavano lì. Devi pensare anche al periodo: alcune scene che oggi ti potrebbero sembrare “normali”, allora facevano scandalo, era molto forti.

Tu hai girato con Brass a Berlino, quindi?

Sì, sono rimasta lì quindici giorni. Del film in generale non ho un brutto ricordo, della troupe… Tra l’altro, io sono stata molto amica di Helmut Berger: a Berlino uscivamo sempre la sera, io e lui, che pure è un mezzo pazzo… Nel film c’era anche… che poi nemmeno ha finito di girare, perché aveva grossissimi problemi con la droga… Tina Aumont. Pensa che si bucava sotto i talloni, per non far vedere che aveva segni di puntura sul corpo.

Helmut aveva l’abitudine di vestirsi con degli enormi mantelli e si muoveva scortato da questo suo segretario. Andavamo sempre, in quelle settimane, a ballare in un posto di Berlino che si chiamava Anabel. Io e Helmut condividevamo, poi, il fatto che ci piacesse vivere alla grande… Gli altri, con le quarantamila lire di diaria, che all’epoca erano tante, si prendevano l’alberghetto. Siccome, invece, a Paola Maiolini l’alberghetto non le piaceva, le quarantamila lire ce le metteva pure sopra… e io stavo in un albergo che aveva piscine, palestre, cose. Tant’è vero che sono ritornata, oltre che ero andata a lavorare… con centomila lire di debito (ride)! All’aeroporto, appena sbarcata, dissi a mio padre: «Che mi dai i soldi, che devo saldare un debito con una mia amica?». Mio padre mi faceva: «Ma come?! Non sei andata a lavorare?»; «Sì, sì, però mi sono mangiata tutto…». (ride) Mi piaceva spendere e con il cinema ho sempre speso più di quello che guadagnassi. Poi, sai meglio di me che quando stai in un ambiente dove hai bisogno di un certo tipo di abbigliamento, devi fare un certo tipo di vita… tutto diventa più dispendioso.

A me è piaciuto sempre vestire e in quel periodo io spendevo a rotta di collo. Viaggiavo tutto il giorno in taxi. E i miei genitori mi dicevano: «Ma oltre che lavori, che guadagni, ti dobbiamo pure passare i soldi nostri?». Ecco perché ti dico che il cinema l’ho fatto con un bel po’ di incoscienza, con divertimento, ma niente di che.  

Ricordi Cugine mie, di Marcello Avallone…?

Quello era una commedia, sempre genere anni Settanta, con le “bonone”… Mi ricordo Cristiana Borghi lì e il regista Avallone, che era una persona simpatica. Però non ho avuto particolari contatti, a parte quelli sul set.

Aiutami: c’è un film del 1978, intitolato La profezia, un horror, che in teoria sarebbe stato diretto da Giulio Petroni: tu lo ricordi, film e regista?

Chi erano gli altri attori?

Marisa Mell, Lou Castel, Chris Avram…

Io con Marisa Mell ci ho sicuramente lavorato e anche più di una volta… Se mi dici che era una specie di film dell’orrore… se non sbaglio c’era di mezzo qualcosa di satanico, l’Anticristo o cose del genere, allora l’ho fatto. Ma onestamente del regista non ti so dire davvero nulla. Io, degli ultimi tempi in cui ho fatto cinema, mi ricordo abbastanza bene solo di Rino Di Silvestro, ma lo ricordo in negativo, perché questo signore qui mi fece una cosa atroce…

A parte il fatto che per pagarmi non ti dico, ma ha finito per “darsi” con tutti i miei vestiti! Sul set non c’era un vestito, un abito di scena… ho dovuto portare tutti i miei, che lui non mi ha più restituito. Capi che, all’epoca, costavano trecentomila lire l’uno.

Baby Love era una specie di favola erotica…

Ci sono stati talmente tanti casini legati a quel film. C’era una francese…

Violette Lafont?

Io non l’ho mai vista e conosciuta, all’epoca. Io credo che fosse lei la protagonista e da quello che mi hanno detto, non era neppure un granché. Ti dico: è stato un film strano… Ne ho dei pessimi ricordi… Perché poi, dopo che è finito, questi vestiti che io avevo portato per me e che hanno utilizzato tutti con grande libertà, non me li hanno più ridati. Sono andata cinque volte a casa di Di Silvestro e non si faceva trovare. Addirittura mia madre c’avevo mandato, una volta… Ma niente da fare.

Immagini da un convento di Joe D’Amato: anche qui eri una suora…

Sì, come no? C’era la Senatore protagonista, Paola Senatore, che già avevo conosciuto in Salon Kitty. Lei poi è finita a fare i film pornografici: rimasi veramente allibita, perché un conto è fare i film sexy, un altro è fare i film porno… Comunque, come ti dicevo, più di una volta ho lavorato dentro i conventi (ride). Me ne ricordo uno vicino a Sora, che mi sa fosse questo di cui stiamo parlando, perché il film mi pare fosse un mezzo horror. E poi mi ricordo un’altra specie di convento a Premeno… sul lago di Garda, sopra Riva del Garda. Ma non chiedermi qual era il film, perché proprio… zero. Ti posso solo dire che ci lavorava anche Nikki Gentile… che era una mia amica americana… Che bella che era, Nikki! Sembrava finta! Lei era un misto di razze, ma aveva questa faccia da fotomodella incredibile, con un fisico di quelli alla Sophia Loren. Un viso particolare, con occhi da gatta, molto etereo, con però questo fisico da bomba sexy…

Avevo una foto che purtroppo non trovo più, sulla quale lei mi scrisse: “Un’amicizia è un regalo che fai a te stessa…”. Molto carina…

Paola, tu hai girato anche un film con Maurizio Merli, Un poliziotto scomodo, vero?

Sì, sì! Merli era simpaticissimo e ci siamo sentiti anche dopo, ma il film lo ricordo pochissimo. Adesso perché tu mi hai fatto il nome di Merli, altrimenti…

La scena sulla barca, di Emanuelle: perché violenza alle donne?, ti creò problemi?

Fu una situazione un po’ imbarazzante. Perché io non sapevo quello che dovevo fare, cioé non sapevo di dover far finta di fare l’amore con un’altra donna…

Io era andata a girare un’altra cosa…

E in casi del genere come ti comportavi?

Potevi puntare i piedi perché ti rifiutavi di girare, ma a quel punto cominciavano a romperti le scatole tutti, dicendoti che avevi letto il copione, che avevi firmato e che quindi lo dovevi fare… Qualcosa del genere era successo con il film di Gian Luigi Polidoro, Permettete, signora, che ami vostra figlia?, dove avrei dovuto togliermi il reggiseno e invece, io, gli dissi che il reggiseno non me lo toglievo.

Ma là, a quel punto, ti fanno vergognare, perché cominciano a dire: «Ah, ma che sarà mai? Ma levate ‘sto reggiseno! Ma stai a ffa tutte ‘ste storie…! Te credi de esse ‘a pricipessa… Lo sai che è ‘na cosa così! Allora nun ‘ffa cinema…»… tutte queste cose qua, capisci? A proposito di questo film, uscì anche un articolo su un giornale al quale io feci causa…

Spiegami, spiegami…

Feci causa a questa rivista che si chiamava Pop, perché avevano pubblicato delle foto dal film di Polidoro, scrivendo: “Donne nude sulla pancia di Ugo Tognazzi”… Tra queste donne nude c’ero anch’io, che nel film interpretavo il ruolo di una cameriera. Il punto era che Pop veniva considerato una rivista pornografica, in quel periodo, e questo tizio che aveva fatto il servizio sul film mi aveva scattato una fotografia sul set a seno nudo.

Mio padre era commerciante e quando uscì ‘sto giornale… capirai, successe una tragedia. Mio padre, poi, era strano: perché quando avevo posato nuda per Playmen, non aveva trovato niente da ridire, però su ‘sto Pop gli dava fastidio… perché gli dava fastidio proprio il giornale, hai capito?

Quando hai chiuso col cinema, Paola?

Guarda, io credo che già nel 1979 non lavorassi più. Nell’aprile del 1978, mi sono lasciata con Enrico e già mi ero stancata di tutto… Chiacchiere sopra chiacchiere, problemi. Anche se dopo continuarono a chiamarmi, a cercarmi per offrirmi delle cose, ho sempre detto di no.

Poi, nel 1979 ho conosciuto mio marito, che era una persona normalissima, un imprenditore, che non credo mi voglia più far fare cinema. Ho una figlia meravigliosa, bellissima, e sai quante volte mi dicono: «Ma non le fai fare niente? Non fa l’indossatrice, non fa qua, non fa là….?», ma mio marito dice: «Sta bene qui!».

Però, Paola, complessivamente, tu ti sei divertita  a fare il cinema in quegli anni…

Ma sì, perché il mio non è mai stato un affannarsi ad arrivare, capito? Quando c’era da lavorare, lavoravo, ma il cinema non è mai stato lo scopo della mia vita… Ci fu un momento, però, in cui non riuscivo più a lavorare, forse perché avevo dei problemi e non mi piacevo più. Probabilmente è stato un rapporto molto importante, quello di cui ti ho parlato con Enrico, per cui, finito quello, avevo bisogno di dare un taglio netto. Tant’è vero che mi sono messa a fare tutta un’altra cosa, sono rientrata nell’azienda di famiglia. E quando mi telefonarono perché c’era la possibilità di fare delle pubblicità per i costumi da bagno, della Parah, dissi di no. Poi c’è stato un periodo nel quale ho avuto un’amicizia poco bella… E me la sono dovuta scrollare di dosso.

Questo quando avevi smesso di fare cinema?

Verso la fine, perché avevo conosciuto questa ragazza, che si chiamava Francesca, proprio nel film di Di Silvestro. Era una tipa che si insinuò nella mia vita e mi mise in mezzo a chiacchiere. Lei era molto più sveglia di me e mi si è infilata dentro casa per due mesi, non se ne andava più…

Sai quando una persona ti fa il lavaggio del cervello? Beh, a me era successo con questa Francesca, che era una gran figlia di buona donna ed era riuscita a farmi credere a cose che non erano vere. Io la vedevo che vestiva sempre bene, era carina, molto chic: diceva che faceva teatro… e invece faceva le marchette, ma molto, molto elevate.

Oggi tu ti occupi di sport, Paola?

Non ho una palestra mia, ma praticamente è come se l’avessi. Sono quasi vent’anni che faccio sport e ogni tanto tengo lezioni di aerobica, spinning e cose del genere. Pratico molto sport. Tant’è che da ragazza avevo qualche problemino di peso, ero un po’ rotondetta… Era la rotondità della gioventù, mentre adesso sono più asciutta.

Comunque, sono in tanti a ricordarti, Paola. A ricordare questa tua magnifica, morbida, fisicità mediterranea…

Una volta andai da un regista importante, avevo i capelli nerissimi, fatti tutti ricci, con le ciglione grosse, un po’ alla Ferilli. Questo mi guardò e mi disse: «Sì, sì… bella faccia da sottoproletariato…!». E io che volevo tanto essere Catherine Denevue… (ride).