Nymphomaniac

L’ultimo scandalo di un formidabile creatore di forme, alla continua ricerca di invenzioni narrative e stilistiche: realizzarsi e distruggersi grazie al sesso
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“La vita di una ninfomane dalla nascita fino a cinquant’anni”: il nuovo film di Lars von Trier è sia questo che altro. Nymphomaniac mantiene le promesse ma sbalestra anche le attese degli spettatori impreparati e potrebbe sembrare ingannevole per tutti quelli che speravano di trovarsi di fronte a una saga pornografica o anche erotica.

Nella definizione “la vita di una ninfomane”, perfettamente rappresentativa degli argomenti nello stesso tempo provocatori e pubblicitari di Lars von Trier, è però la parola “vita” quella più importante: un’asserzione che viene certificata dalla prima parte del film. L’ambizione di von Trier è di raccontare, effettivamente, la vita di una donna, un’eroina contraddittoria che cerca nello stesso tempo di realizzarsi e di distruggersi grazie al sesso, il suo sesso, e al potere che le conferisce.

Un potere che potrà anche trasformarsi in una maledizione e in un cammino di crocifissione, fedele, in questo, all’approccio dolorista di Lars von Trier nelle cui opere le nevrosi e i desideri fisici sono sempre gravati dal peso della colpa e del peccato giudeo cristiani

Lars von Trier, al di là delle controversie che circondano i suoi ultimi film – e Nymphomaniac naturalmente non ha derogato alla norma – e delle loro tematiche immutabili, è un formidabile inventore di forme, alla continua ricerca di invenzioni narrative e stilistiche.

Se questi film sono delle esplorazioni della psiche umana – e più precisamente femminile, da parecchi lungometraggi in qua –, von Trier si compiace di sperimentare a ogni nuova avventura dei generi inattesi (dal melodramma all’horror, dalla fantascienza alla commedia-sexy) e delle forme estremamente differenti, e talvolta inedite, spesso in contrasto con il titolo precedente.

È il caso di Nymphomaniac che rompe volontariamente con la grande forma operistica e wagneriana di Melancholia per proporre una narrazione frammentata in forma di mosaico visivo, che si adatta perfettamente al suo soggetto. Joe accumula le avventure sessuali con una moltitudine di uomini che finiscono, come ammette lei stessa, per costituirne uno solo.

Dominato più dalla numerologia che dal sesso, Nymphomaniac esiste in due versioni (purgata e integrale); è diviso in due parti, a loro volta segmentate in capitoli, ed è interpretato da tre attrici – in tre fasi della vita – che non hanno alcuna somiglianza fisica… e tuttavia si tratta di un’opera unica, che non perde di vista il suo soggetto – la conoscenza di sé – e i suoi due protagonisti: l’androgina e ninfomane Joe (Charlotte Gainsbourg/Stacy Martin) e il vecchio eremita saggio e vergine Seligman (Stellan Skarsgård). Il dialogo tra i due personaggi, oggetto di numerosi fasi durante i differenti capitoli della vita di Joe – quasi tutti trattati con uno stile e un tono differenti, dalla commedia all’incubo – evoca naturalmente una tradizione francese di letteratura libertina e filosofica, in cui le parole fanno nascere delle idee ma anche delle immagini, stimolando l’immaginazione come l’eccitazione.

La letteratura e la musica sono più che mai le principali scaturigini dell’ispirazione di von Trier, che riesce a trovare degli equivalenti visivi alle digressioni narrative e sensitive dei grandi romanzieri moderni del XX secolo. Quando delle immagini mentali, dei ricordi o delle sensazioni evocate da Joe e Seligman vengono illustrate con degli inserti o dei filmati d’archivio, il regista arriva a creare delle specie di innesti tra la scrittura letteraria e quella cinematografica.

Nel corso di un breve incontro durante la lavorazione del film negli studi di Colonia, Lars von Trier ha evocato spontaneamente La montagna incantata e Alla ricerca del tempo perduto come suoi principali referenti quando concepì Nymphomaniac. Si è decisamente distanti dal porno soft arty e provocante atteso – temuto – da alcuni e che Nymphomaniac non vuole – non può – essere.

Debordante di idee, ricco di invenzioni visive, capace di mediare con virtuosismo il grande scarto tra il buffo, l’humour e il tragico, la satira sociale e lo psicodramma, Lars von Trier interroga il medium cinema confrontandolo con le altre discipline artistiche, sempre al di là del buono e del cattivo gusto (tanto meglio), della morale e dell’educazione, anche nella sua manipolazione delle immagini e nel raggiungimento di un surplus di realismo tramite effetti digitali perfezionati.

Il riferimento è alle famigerate – ma non così abbondanti – scene pornografiche girate da attori di film X utilizzati come controfigure degli interpreti, il cui volto è stato in seguito associato digitalmente ai corpi in azione dei professionisti del sesso. L’artificio, non percepibile sullo schermo, procura effettivamente l’illusione per lo spettatore che Charlotte Gainsbourg (per non citare che lei) si è concessa ad atti di depravazione o di masochismo estremi (soprattutto nel volume 2 , molto più cupo, deprimente e violento).

È la società francese BUF, molto attiva con le grandi produzioni hollywoodiane come nei film d’autore francesi, che si è occupata di questo delicato compito, confrontandosi con numerose difficoltà tra le quali la necessità di aggiungere peli in digitale ad attrici e attori pornografici completamente depilati secondo la moda dell’industria del cinema hard.

Se molti film contemporanei hanno già fatto ricorso agli effetti digitali per ottenere una forma iperrealista posticcia, Lars von Trier usa questo stratagemma per filmare scene di sesso che non sono se non più crude e anti erotiche. La carne, digitale o meno, può ben essere triste, Nymphomaniac non è, tuttavia, un oggetto teorico e freddo, ma una creazione cinematografica che non cessa di sollecitare le nostre emozioni e la nostra intelligenza, in un maelstrom di immagini e di parole che convoca ideologie, religioni, psicanalisi e filosofia per tracciare il ritratto di una donna in cerca di se stessa e della libertà.

Anche i detrattori di von Trier potranno nuovamente constatare la sua abilità nel rivelare ma anche nel dirigere mirabilmente attori di proveninza diversa, vecchie conoscenze o nuovi arrivati inattesi (Christian Slater nella parte emozionante del padre di Joe), con una speciale menzione per la debuttante Stacy Martin (Joe da ragazza) alla sua prima apparizione sullo schermo e davvero impressionante.