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Come cani arrabbiati

1976
Titolo Originale:
Come Cani arrabbiati
REGIA:
Mario Imperoli
CAST:
Piero Santi (as Jean-Pierre Sabagh)
Annarita Grapputo (Silvia)
Paola Senatore (Germana)

Il nostro giudizio

Come cani arrabbiati è un film del 1976, diretto da Mario Imperoli.

Tony Ardenghi, un pariolino, insieme all’amico Rico e all’amichetta Silvia, perpetra rapine, stupri ed eccidi. Il commissario Muzi, incaricato delle indagini, sin dal primo delitto del terzetto sospetta dell’Ardenghi e gli sta con il fiato sul collo: ma serve a poco… Scena iniziale di Come cani arrabbiati: tre rapinatori che hanno appena compiuto una rapina, fuggendo prendono in ostaggio una ragazza – qualcuno dirà più tardi di lei che era “poco più di una bambina”. Insomma, bambina mica tanto, visto che la interpreta Gloria Piedimonte. Urla, strepiti, casino. La ritroviamo, la rapita, in un appartamento all’apparenza deserto: ha i polsi legati ma può muoversi. Esplora l’ambiente, scende le scale, in una sequenza che sembra non finire mai. A un certo punto, quando siamo convinti che l’abbiano effettivamente abbandonata da qualche parte, sola, i tre delinquenti sbucano fuori, stavolta a volto scoperto. Due ragazzi e una ragazza. I maschi sono Cesare Barro e Louis La Torre, la donna è Annarita Grapputo. Si capisce che le cose andranno a finire male per la Piedimonte, ma ancora non si capisce quanto male. I tre la prendono e la portano in bagno, la denudano, la spaventano, la spingono con la testa verso l’acqua. Poi salta fuori una pistola, gliela puntano alla nuca. E fanno fuoco. Materialmente, a tirare il grilletto è la Grapputo.

Uno crede di avere visto tutto nei gironi infernali del bis, poi invece sbuca un diavolo che non conoscevi, abbastanza spaventoso. Come cani arrabbiati di Mario Imperoli è quel diavolo e la situazione descritta è tanto più truce in quanto priva di perché. I tre assassini sono figli di papà che uccidono così, tanto per fare. Il che rispondeva a un certo immaginario del periodo, quando, dopo i fatti del Circeo, esisteva la psicosi di questi pariolini massacratori senza ragione. Imperoli – personaggio interessantissimo: affetto da zoppia e morto giovane – non è nessuno quando dirige i film con Gloria Guida nella prima metà del decennio, ma passando alla categoria del noir, qui e in Canne mozze, dimostra di saperci fare. O perlomeno, è uno di quelli che non temono di spingersi oltre.

La fine della Piedimonte non è che una scena. Più in là, la criminale trimurti trucida una prostituta ficcandole un pugnale nel cuore; e più in là ancora, sorprendendo Mario Novelli in intimità con un giovane amico frocio, li ammazzano, prima questo e poi quello, diluendo l’eccidio nel tempo di una canzone di De André. Come cani arrabbiati ha anche l’eroe, un commissario (Piero Santi, nell’arte Jean-Pierre Sabagh, uomo di palcoscenico e amico di Claudio Bernabei, che lo introdusse a Aristide Massaccesi per il quale girò anche il porno Blue erotic climax, dove però era l’unico che non trombava), del quale per anni si è diffusa la leggenda che fosse “atipico in quanto comunista”. Sabagh, in realtà, è un pisquano, con un’aria assai poco sveglia, che si incazza solo una sera in una trattoria dove sta cenando con la sua donna – Paola Senatore, anche lei poliziotta, una splendida Venere popolare – e spacca la faccia a Quinto Gambi, il sosia di Tomas Milian, per una futilità.

Con una di quelle svolte di sceneggiatura assurde, tipiche di Piero Regnoli che scrive il film con Imperoli, Sabagh viene poi irretito dalla Grapputo e ci va a letto, senza nemmeno sospettare che lei sia la cagna assassina che terrorizza la città. Tutto si conclude bene, cioè male: la Grapputo becca una schioppettata in pancia, La Torre – un volto di punta dei fotoromanzi Grand Hotel – lo abbatte la polizia, mentre Cesare Barro, il leader della combriccola, il personaggio più interessante del film nella sua augusta, bionda, tagliente inespressività, muore fatto a pezzi da un corteo di operai scioperanti contro i quali è andato a sbattere fuggendo… Film che mette in una condizione sgradevole lo spettatore, lo fa sentire, sporco, connivente, laido. Imperoli non aveva probabilmente alcuna intenzione di realizzare il perfetto succedaneo, per le età a venire, di un trattato sociologico, ma di fatto questo gli venne fuori. In una forma terribilmente quanto involontariamente efficace e diretta. Chapeau!