Nel buio del sole: Men behind the sun

Atrocità su atrocità nel ciclo di film avviato da Tun Fei Mou
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Atrocità su atrocità, nel ciclo ispirato all’Unità 731, un distaccamento dell’esercito giapponese incaricato di sviluppare, tra il 1936 e il 1941, nuove armi batteriologiche.

I libri di storia delle superiori vi accennano appena, ma la guerra tra Giappone e Cina svoltasi in Manciuria ormai più di settanta anni fa testimonia che il Novecento non è stato secolo breve solo in Europa. In particolare, la vicenda dell’Unità 731, distaccamento dell’esercito giapponese attivo in Cina tra il 1936 e il 1941, presenta inquietanti similitudini con le disumanità compiute nei campi nazisti nel decennio successivo. Formalmente incaricata di condurre ricerche sulla purificazione dell’acqua, l’Unità 731 era in realtà un contingente utilizzato per lo sviluppo di nuove armi batteriologiche in grado di diffondere epidemie. La storia racconta di inquietanti esperimenti su larga scala, messi al bando già nel 1925 dal trattato di Ginevra, e atroci sperimentazioni su cavie umane non dissimili da quelle condotte da Josef Mengele durante la Seconda Guerra Mondiale.

Oggetto del desiderio di molti appassionati dell’ultragore nell’epoca precedente alla diffusione della banda larga, la tetralogia di Men Behind The Sun descrive con impressionante crudezza i misfatti dell’Unità 731. Il primo capitolo della saga, Men Behind The Sun (Hei tai yang 731), girato nel 1988 dal taiwanese Tun Fei Mou rimane probabilmente l’episodio cinematograficamente più rilevante dei quattro. IMDB gli attribuisce nazionalità hongkongese, ma da un’intervista rilasciata dal regista, si desume che la maggior parte dei capitali impiegati nella realizzazione di Men Behind The Sun fossero di origine cinese. A guardare il film, l’impressione si rafforza. Rispetto ai capitoli successivi, il capostipite della saga appare decisamente più votato alla propaganda che all’exploitation; i giapponesi vengono ritratti in pose marziali che ne sottolineano l’ottusa crudeltà e il finale in cui i prigionieri cinesi liberano i compagni contribuisce a dar conto della parzialità della ricostruzione storica operata da Tun Fei Mou. In ogni caso, le efferatezze non mancano. A una donna vengono congelate e scarnificate le mani, mentre un prigioniero cinese viene rinchiuso in una camera iperbarica in cui la pressione viene alzata fino a causare il prolasso degli intestini della vittima. A infuocare le polemiche in Internet, come accaduto già per Cannibal Holocaust, è però la famigerata sequenza in cui un gatto vivo viene gettato in pasto a un branco di topi famelici. Si dibatte, come sempre piuttosto sterilmente, sulle conseguenze dell’operazione per il felino, che, a giudicare dalle immagini, sembra averci rimesso la pelle davvero – ma il regista ha smentito, sostenendo che di gatti ne furono usati una decina per la sequenza e che nessuno patì conseguenze. Se il risultato doveva essere un accresciuto shock value si può testimoniare, lasciando da parte le questioni etiche, la riuscita dell’operazione. Ancora più tremendo l’utilizzo di un vero cadavere per realizzare la scena della dissezione del bambino muto. Corsero voci del trafugamento di una salma da parte della troupe per queste riprese, ma oggi sappiamo che l’esame venne condotto su un vero corpo con il consenso dei familiari.

Il secondo capitolo della serie, Men Behind The Sun 2: Laboratory of The Devil (Hei tai yang 731 xu ji zhi sha ren gong chang, 1992) vede il passaggio di testimone alla regia, affidata questa volta all’hongkongese Godfrey Ho, che mette da parte le vocazioni propagandistiche dell’episodio precedente e abbraccia l’exploitation più cinica. Sebbene le efferatezze siano meno estreme di quelle mostrate in Men Behind The Sun, del quale questo seguito sembra rappresentare una svogliata operazione di sfruttamento commerciale, il tasso di gore rimane piuttosto alto. Tra geyser di sangue e torture alle mani, lascia il segno la repellente autopsia condotta su una ragazza alla quale vengono poi amputati gli arti. Men Behind The Sun 3: A Narrow Escape (Hei tai yang 731 si wang lie che, 1994) è nuovamente affidato alle cure di Godfrey Ho, che questa volta tenta la carta del war drama. Messe al bando le efferatezze, Ho si concentra sulla storia di un soldato reduce dal campo 731 che, portatore di un terribile virus, rischia di generare un’epidemia su scala nazionale. Il risultato è un soporifero cut and paste praticamente privo di situazioni gore di sequenze avanzate dai precedenti capitoli.

A chiudere la tetralogia, Men Behind The Sun 4 aka Black Sun: The Nanking Massacre (Hei tai yang: Nan Jing da tu sha, 1995) vede il ritorno alla regia di Tun Fei Mou, che cuce insieme materiale di fiction e frammenti documentaristici per raccontare l’ingresso giapponese a Nankino, costato oltre 200.000 vittime. Qui il cortocircuito tra resoconto storico ed exploitation si fa ancora più radicale e il confine tra atto d’accusa pacifista e propaganda antigiapponese sempre più indistinto. Oltre al consueto campionario di atrocità belliche, spiccano stupri, sventagliate di mitragliatrice sulla folla e un aborto condotto con baionetta che non fa rimpiangere quello di Serena Grandi in Antropophagus.