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Westworld

2016
Titolo Originale:
Westworld
CAST:
Evan Rachel Wood: (Dolores Abernathy)
Thandie Newton: (Maeve Millay)
Jeffrey Wright: (Bernard Lowe)

Il nostro giudizio

Westworld è una serie tv del 2016, ideata da Jonathan Nolan

Basata su Il mondo dei robot, datato 1973, scritto e diretto da Michael Crichton, Westworld  è la serie tv ideata e scritta da Jonathan Nolan per HBO. La storia: dei cyborg, dotati di intelligenza emotiva, creati dalla geniale mente umana di Robert Ford (un Anthony Hopkins ancor più inquietante che in Hannibal Lecter), sono i residenti di un mondo distopico che accoglie annoiati umani pluri-miliardari, i quali alla vacanza in bikini a Dubai preferiscono quella in un avveniristico parco divertimenti in cui si respira la sinistra aria del mondo Western. La serie è pregna di contenuti altamente filosofici e di intensi dialoghi, ben scritti, che offrono notevoli spunti di riflessione di stampo “neo-esistenzialista”. È l’esemplificazione, in stile Lo chiamavano Trinità, della  Nascita della tragedia così come Nietzsche l’aveva concepito: apollineo e dionisiaco al loro primo stadio si fondono. La  sensazione è di assistere all’incontro/scontro di due forze propulsive: quella dionisiaca di esseri umani annoiati dal proibizionismo del mondo reale, che visitano il “parco in cui tutto è concesso”, abbandonandosi alle loro animalesche appetizioni, fino al raggiungimento del vero “io”. Provvisto di moto contrario è l’orientamento apollineo degli “Host”: i robot inconsapevoli di essere meri strumenti di divertimento alla mercé dei primordiali, istintivi capricci degli umani, si riscoprono dotati di una, non-prevista dal prototipo, spinta all’autocoscienza.

Ospiti e residenti, fondendosi gli uni con gli altri, danno vita a una forza centrifuga che come un morbo epidemico contagia, travolge e, infine, corrode tutti: è l’inarrestabile, atavico moto, dote di ogni essere pensante, che conduce alla libertà. Quella di cui si parla è una forma perversa di libertà, proprio perché il seme di questo depravato gioco è insinuato dalla tracotante e geniale mente appartenente a quella categoria di uomini che hanno “fatto” il mito, la leggenda e la storia; sono uomini che l’astuzia della Ragione offre al mondo per piegarlo a seconda dei suoi ignoti obiettivi; uomini che sfidano dio e giocano ad emularlo, fino a quando, in quanto divinità, vengono sfidati dalle loro stesse creature. Non possiamo negare l’evidenza della creativa e introspettiva penna di Jonathan Nolan, alla quale lo stesso più famoso fratello deve il suo successo. Tuttavia, innegabile è anche la frequenza con cui Nolan inciampa nei tranelli tesi dalla retorica connessa alla tematica in oggetto. Quello tra progresso e libertà è un rapporto controverso e, diciamocelo, dal punto di vista cinematografico e letterario, ormai, di tendenza.

Pollice verso per alcune falle di carattere logico-deduttivo: la sceneggiatura presenta delle contraddizioni che si spera possano essere chiarite con le nuove puntate. E pure il tempo per le delucidazioni non è mancato, come non sono mancati i tempi morti, le puntate soporifere ed episodi eccessivamente dilatati; per comprendere la serie nella sua totalità sarebbero state sufficienti solo la prima e l’ultima puntata. Nel complesso, Westworld potrebbe configurarsi come l’’undicesimo episodio di Black Mirror. A volte gli scrittori commettono gli errori dei loro personaggi e lo stesso Nolan potrebbe aver peccato della tracotante presunzione di essere in grado di trattare un argomento così blasonato e, se vogliamo, retorico – per ben 900 minuti – senza risultare ridondante.