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Virus X

2010
Titolo Originale:
Virus X
REGIA:
Ryan Stevens Harris
CAST:
Jai Day
Domiziano Arcangeli
Joe Zaso

Il nostro giudizio

Il film Virus X è un horror virale a base di mad doctor e bacilli pestiferi: la noia e la mancanza di idee soffocano sin dal principio un progetto sbagliato.

Questo film è da noi inedito, e per fortuna lo resterà sempre. Per la rete ne circola una copia in lingua, e a quel punto cominciano le difficoltà. Nel senso che se non te la cavi con l’inglese, non ci capisci molto, ma non tanto per la barriera linguistica, ma perché la pellicola di Ryan Harris è talmente noiosa che non fai nemmeno la fatica di drizzare le orecchie e sforzarti di comprenderne i dialoghi. Con i sottotitoli, sarebbe tutto più semplice, anche perché ci si avvantaggerebbe della facilità di una fruizione distratta, da divano-letto. Non che ci sia molto da intuire, in effetti, ma almeno qualche frase smozzicata, se decodificata e analizzata, potrebbe contenere un numero sufficiente di informazioni da rendere edotto lo spettatore sui rapporti tra i personaggi.

Ci sono dei tizi rinchiusi nella stanza di un laboratorio, tipo The Experiment, e lì ci restano senza far nulla fino a quando non crepano come mosche, stroncati da questo strano e pericolosissimo virus. Tale dovrebbe essere il piatto forte, condito con quel tanto di sociologia intrauterina così cara al cinema dei giovani americani. All’esterno della gabbia di vetro, si muovono invece gli “architetti” della sperimentazione, tra cui una creatura androgina che non si sa bene cosa sia, forse un transessuale, un ermafrodita o semplicemente una donna mutilata dalla chirurgia, e una sfatta signora che funge da mente dell’intera operazione. Poi qualcosa va storto, i pestiferi bacilli escono dal loro habitat e pian piano diffondono la loro turpe piaga dalla sintomatologia così simile a Ebola. Nel frattempo tutti parlano, parlano, parlano. Forse qualcuno ragionerà anche, ma l’impressione generale è che la chiacchiera riempia i buchi di sceneggiatura e concluda il metraggio il più sbrigativamente possibile.

Una scena avrebbe persino le carte in regola per ritagliarsi un posticino all’ombra del cult, quella in cui due appestati hanno un rapporto sessuale prima di morire, e proprio sul più bello la ragazza tira le cuoia trasformandosi in un mostro emorragico tutto pieno di bubboni pustolosi. Purtroppo si vede ben poco, e quel che l’occhio intercetta è talmente confuso e sfocato dalla lugubre fotografia che alla fine manco si intuisce bene cosa stia succedendo. Per il resto, è un mortorio. Lo si guarda chiedendosi perché ci si voglia fare del male, ed è meglio lasciar cadere la questione perché nessuna risposta sarebbe quella giusta.

Ryan Stevens Harris, al suo secondo lavoro dopo Finale (2009), che perlomeno vantava una locandina incantevole, confeziona una sciocchezzuola sfiatata e avvilente. Virus X è come un motore che continua a scaldarsi ma che, giunti al dunque, non parte e si ingolfa. È pesante, barboso, incapace di disarcionare la zavorra verbale che si porta addosso sin dai primi minuti. Nemmeno la bella Sybil Danning (la biondona di Werewolf Women of the SS, il fake trailer di Grindhouse) riesce a rimestare la zuppa. Gli altri attori sono tutti dei parvenu risucchiati chi dal piccolo schermo chi da altri film della stessa risma. E il risultato è quello che è.

Su tutte, un’altra serie di domande, l’una inanellata nell’altra, a completamento della precedente. Perché recensire tale pellicola? Perché leggerne la recensione? Perché tutto questo? Per amore del cinema di serie zeta, a quanto pare. Per amore si fa questo ed altro.