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Veloce come il vento

2015
Titolo Originale:
Veloce come il vento
REGIA:
Matteo Rovere
CAST:
Stefano Accorsi (Loris De Martino)
Matilda De Angelis (Giulia De Martino)
Paolo Graziosi (Tonino)

Il nostro giudizio

Veloce come il vento è un film del 2015, diretto da Matteo Rovere.

Alla fine degli anni 80 si parlava di Nuovo Cinema Italiano. Lo dicevano i giornali, la tv e pure le canzoni satiriche di Avanzi (trasmissione cult della gloriosa Raitre di Angelo Guglielmi). Da allora, tra luttuosi requiem e gloriosi allelluia, si è invocata più volte la rinascita della nostra industria cinematografica, vuoi per gli Oscar a Salvatores, Tornatore, Benigni e Sorrentino, vuoi per i trionfi a Cannes, Venezia e Berlino, o per felici exploit al botteghino di commedie più o meno riuscite, più o meno televisive. Ovviamente più o meno d’autore, perché non esiste altro Nuovo Cinema Italiano all’infuori di quello. Eppure quando la nostra cinematografia era grande – e noi lo sappiamo bene – lo era grazie alla colonna portante del Genere, fucina di talenti, di idee… e di soldi. Ciò nonostante, il cosiddetto-ormai-40enne-ciclicamente-redivivo Nuovo Cinema Italiano si è sempre scordato del suo Bis, relegandolo allo straight-to-video, al caso isolato, all’horror e a quelle simpatiche canaglie dei Manetti Bros.. Almeno fino ad oggi. Non che due rondini facciano primavera, ma la nuova stagione ci sta regalando soddisfazioni e speranze per il futuro.

I veri Nuovi registi italiani ci stanno provando e hanno scelto di percorrere una nuova strada di genere, senza vergognarsi di confrontarsi con temi e convenzioni del ricco fratello americano. Ci è riuscito, con ottimi riscontri, Gabriele Mainetti in Lo chiamavano Jeeg Robot affrontando il genere supereroico (de borgata) a testa alta. Lo fa anche Matteo Rovere schiacciando l’acceleratore su dramma e motori in Veloce come il vento. L’intento è chiaro: ambientare una storia familiare nel mondo delle corse automobilistiche, senza indugiare troppo sul sentimentalismo (da bravo Nuovo Cinema Italiano), ma derapando in pista… e non solo. Ispirandosi alla vera storia dell’ex campione torinese di rally Carlo Capone, Filippo Gravino, Francesca Manieri e Matteo Rovere scrivono una storia ex novo per mostrare bolidi e sfrecciare nel vero campionato GT a Vallelunga, Monza e Imola. Ci si trasferisce in Romagna, “Tera de Mutor”, con protagonista un’esordiente 17enne dagli occhioni verdi e i capelli blu (Matilda De Angelis, dal primo piano mozzafiato) nel ruolo di Giulia de Martino, giovane pilota emergente, determinata a mantenere la scuderia di famiglia, e alle prese con il ritorno del fratello ex campione e ora tossicodipendente Loris (Stefano Accorsi, dimagritissimo e mai così viscido). Dopo i primi momenti di deriva verso quell’ormai-40enne-bla-bla-bla Nuovo Cinema Italiano con voci fuori campo e drammi esagerati, lentamente, nonostante il titolo, Veloce come vento si abbandona al ritmo delle gare, segue la danza dei motori e trasforma una trama prevedibile, in un film coinvolgente. Accorsi, con il suo romagnolo marcato e l’andatura dinoccolata, fa di tutto per affossare il film nel ridicolo, eppure non può resistere alla forza di un ruolo nelle sue corde, in cui evidentemente crede. Magicamente, Matteo Rovere salta sui cordoli, perde il controllo, ma resta in pista e al rettilineo finale, può contare su un assetto basso, aggressivo, fatto apposta per correre. A quel punto tutto funziona, Accorsi compreso, ormai diventato un Loris credibile e familiare. Rovere, come Mainetti, si cimenta con il cinema (non italiano) con cui è cresciuto, senza il timore di affrontare fasi produttive all’americana, esattamente come “certi nostri eroi di una volta” facevano western credibili, con pochi mezzi.

Non sarà così che si vince un Festival, ma è così che si rifonda un sistema: senza paura di osare, realizzando ciò che si vorrebbe vedere sullo schermo. E chissenefrega, nonostante i cartelli finali ci facciano credere fosse un biopic, se la storia di Capone era un’altra. Terminato il film, siamo certi che Loris e Giulia De Martino esistano e che il meccanico Tonino ci abbia appena raccontato la loro storia, davanti a un bicchiere di Lambrusco, in un caldo pomeriggio d’agosto. Il cinema non è forse questo?