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Tragedy Girls

2017
Titolo Originale:
Tragedy Girls
REGIA:
Tyler MacIntyre
CAST:
Brianna Hildebrand (Sadie Cunningham)
Alexandra Shipp (McKayla Hooper)
Jack Quaid (Jordan Welch)

Il nostro giudizio

Tragedy Girls è un film del 2017, diretto da Tyler MacIntyre

 

Se è vero com’è vero che Piero Manzoni riuscì a vendere i propri escrementi al peso dell’oro, allora ne consegue, per deduzione, che ogni cagata ha il suo pubblico. Certo, quello che si accaparrava la famigerata merda d’artista, magari decorandoci le mensole del salotto o trasformando le scatolette in curiosi oggetti di conversazione, era più ricco e sofisticato di quello che si diletta con questo tipo di cinema. Tale pubblico è invero più caciarone, ignorantotto e soprattutto disinteressato all’alchimia che si ricava dalla fermentazione di idee, di sensibilità artistica e cultura. Ed è così caciarone che nemmeno paga il biglietto per il cinema, ma approda alla merda di (non) artista per vie oblique, scandagliando i fondali della rete, pescando piratescamente ciò che altrimenti resterebbe precluso alla visione. Perché se per gli artisti, per i Manzoni, la merda è un lusso, per gli americani è cosa democratica, da distribuire a colpi di cazzuola a destra e manca. Ed è proprio attraverso le maglie di questo paradigma che si spiegano fenomeni estremamente diffusi e ad alto rischio di emulazione come Tragedy Girls: cacca per un pubblico bifolco, fatto di ragazzini spernacchianti, figli di una borghesia annoiatissima che si trastulla con il sangue, i cadaveri, lo humour nero spennellato peggio del burro di arachidi sui panini. Non c’è niente in questo film, se non la linea di un encefalogramma comatoso, un vuoto pneumatico che, lungi dall’essere un caso a sé, si duplica e rispecchia in un intero sottobosco di prodotti per teenager.

Due studentesse particolarmente fighette (Brianna Hildebrand di Deadpool, bionda e bianca; Alexandra Shipp, X-Men – Apocalisse, crespa e abbronzata) rapiscono un feroce serial killer affettatore di ragazzini e se lo tengono nello scantinato. Lo scopo è quello di “addomesticarlo” per trasformarlo nel loro maestro. Il sogno proibito delle due pischelle è infatti quello di diventare esse stesse spietate torturatrici, delle splendide diavolesse in gonnella sempre pronte a uccidere, scorticare, sventrare e segare i meno smaliziati compagni di classe. Il copione è lo stesso, sin nei minimi dettagli: regista trentaquattrenne (Tyler MacIntyre) che si fa le ossa nelle retrovie dei montaggi home video ed esordisce con filmetti a basso costo (Patchwork il più noto); una pletora di attrici di buon livello, sconosciute ai più e prelevate da parti minoritarie del mondo televisivo; qualche attore belloccio e meglio rodato (Jack Quaid ha mosso i primi passi negli Hunger Games); una sceneggiatura che procede per tentativi, scantona tra il serio e il faceto, si incapretta tra il grottesco e il farsesco e finisce in bruttezza con l’auto-strangolamento. Qualche esempio? Una coppietta appartata, un maniaco vestito come Jason Voorhees che pianta un machete sul naso del malcapitato. Una ragazzina appesa a testa in giù, triturata da una sega dentata alla Hostel. Un banchetto di mannaie canterine che si abbattono sulle mortali spoglie delle summenzionate vittime, tagliando chi un piede chi un braccio.

Il paffuto regista non gira male, ma lo fa senza cuore, con quel menefreghismo un po’ spaccone di un miles gloriosus che si vanta di ciò che non sa fare, e millanta quel che non ha fatto. Non ha visto Excision (2012), non ha capito Baskin (2015), galleggia oltre le Colonne d’Ercole dell’ignoranza, laddove l’orbo si erge re per un pubblico di dodicenni. Non è un punto a suo sfavore perché, dato il suo talento per la fuffa, potrebbe riciclarsi come rappresentante degli yogurt Activia. Quelli che fanno andare di corpo, senz’altro più appetitosi di Tragedy Girls. Non li potrà vendere a peso d’oro, perché per quello bisogna essere artisti, avere sensibilità e un pizzico di coraggio in più, ma almeno sarà di soddisfazione a tanti intestini pigri.