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Tonya

2017
Titolo Originale:
I, Tonya
REGIA:
Craig Gillespie
CAST:
Margot Robbie (Tonya Harding)
Allison Janney (LaVona Harding)
Sebastian Stan (Jeff Gillooly)

Il nostro giudizio

Tonya è un film del 2017, diretto da Craig Gillespie.

Tonya Harding è una pattinatrice americana, vince la sua prima gara a quattro anni ed è la prima atleta a inserire il triplo axel in una competizione ufficiale, vincendo i campionati nazionali statunitensi del 1991. Ancor più, però, è la protagonista di uno dei maggiori scandali sportivi: l’attacco alla rivale Nancy Kerrigan che le vale l’esclusione a vita dal pattinaggio su ghiaccio. Il resto  è storia. Tonya, la ragazza dal talento mostruoso, è colpevole di sapere e di non aver evitato, pur rimanendone estranea, l’aggressione alla bella Nancy: la figlia che tutti gli americani vorrebbero avere. È brava, sa di esserlo e vuole spingersi oltre ogni limite, per questo diventa pericolosa e malvagia. Una combattente insicura che rivendica il suo diritto a essere parte dell’american dream, nonostante la sua visibile anima ammaccata. Nasce come una ragazzina equilibrata che spara alle lepri e cresce combattendo una guerra che vuole vincere arrendendosi a se stessa. Ha un temperamento focoso e potente, è oltraggiosamente intimidatoria. Non è aggraziata, per cui non vi aspettate di vederla camminare sinuosa, ondeggiando la sua chioma bionda. La mascolina Tonya non lo farà. Eppure, una volta calzati i pattini, sa volare. Lo fa senza troppi lustrini, o con qualche velo cucito male. A lei importa meno di quanto importi alla giuria. Vive l’orrore di una madre che la inasprisce, che la tormenta, che la tortura psicologicamente e finanche fisicamente. Ed è proprio sua madre, LaVona Harding, caratterizzata dal premio Oscar Allison Janney, a menomarla del sogno della sana famiglia americana. A proposito: Allison Janney (pensate a West Wing-Tutti gli uomini del presidente, Mom) è fottutamente brava, interpreta in modo impeccabile un personaggio astioso ed è capace di esprimere livore soprattutto con i dettagli.

La vita della pattinatrice è trasposta, attraverso un rapporto di contiguità quantitativa, diventando emblema della società americana, la cui struttura rifiuta tutto ciò che lei rappresenta. Craig Gillespie (lo ricorderete al debutto col sociofobico Lars e una ragazza tutta sua, del 2007) firma un dramma a stelle e strisce che ha il cattivo odore della vita. Abbandona ogni formalità e rivela una confessione documentaristica, basata su interviste originali, che parla direttamente allo spettatore. Tonya non vi apparirà come un animale da studiare mentre si muove nervosamente in gabbia. Vi confesserà, senza essere mielosa, la sua vita e vi parlerà di verità nell’unico modo in cui è capace di farlo: sputando sangue e rialzandosi. Margot Robbie veste i panni di un’eroina negativa, una di quelle che la società punisce perché immensamente brava, ma non abbastanza stereotipata. Ciò è quanto contribuisce a frenare il suo talento. Il biopic vi racconterà una favola in cui gli asinelli e gli elefanti della società sono i nemici da abbattere. Un mondo malsano in cui il talento è sfruttato e sprecato.

Gillespie ricorre a qualche effetto speciale, così l’attrice australiana diventa un’esperta pattinatrice, ma il triplo axel non è eseguito da alcuna controfigura, non sarebbe stato semplice trovarne. La fotografia ricorre a colori saturi mentre dipinge uno scenario fatto di perdenti.  Tonya è un film sui sogni infranti, su quelli che si dissolvono nella tossicità della nicotina. I sogni di una madre che sfrutta il talento di sua figlia, forgiandola a colpi di spazzola sulla schiena. I sogni di un’atleta unconventional che perde appena si illude che, per vincere, sia sufficiente la sola bravura tecnica. Tutti questi sogni guadano un torrente in cui confluiscono musiche che impiegano abilmente alcuni successi d’epoca; musiche in grado di veicolare il racconto – e in qualche frammento vi sembrerà di sentire Tonya dirvi «hold me tight and tell me you’ll miss me while I’m alone and blue as can be. Dream a little dream of me», ma quel frammento sarà presto vanificato da qualche sguardo burbero. La vita che resta, invece, sarà lei stessa a raccontarvela. Fumando.