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The Wire – Stagione 1

2002
Titolo Originale:
The Wire
CAST:
Dominic West (Detective Jimmy McNulty)
John Doman (William Rawls)
Frankie Faison (Ervin Burrell)

Il nostro giudizio

The Wire –Stagione 1 è una serie tv del 2002, andata in onda per la prima volta in Italia nel 2005, ideata da David Simo.

«Larry, let’s go home». È l’ultima battuta di The Wire. A pronunciarla è Jimmy McNulty, l’orgoglioso, vanitoso, arrogante, recalcitrante, alcolizzato poliziotto dal sorriso sghembo, più di un problema con l’autorità e altrettante difficoltà nel tenere il pisello nei calzoni. Non un addio straziante, non un finale pirotecnico; l’unica concessione alla retorica, tratto caratteristico dei finali delle serie di David Simon, è un montaggio musicato che raccoglie le situazioni in cui lasciamo i personaggi. Ma McNulty, viscere e pelle della serie, rivolge queste ultime parole a un barbone pazzo che, in precedenza, aveva rapito per alimentare la folle catena di bugie sul serial killer dei senzatetto, necessaria a riattivare i finanziamenti, interrotti a causa di intrighi politici, alle indagini sul gangster Marlo Stanfield. Il carneade barbone che, sulla strada verso Cleveland, mostrava un unico momento di lucidità piangendo il distacco dalla sua Baltimora.

Diabolica. Esiziale. Sporca. Ingiusta. Casa. The Wire è un capolavoro perché è in grado, in ogni suo singolo momento costruito sottotraccia su istanze anti epiche, di concentrare e rimandare a 60 capitoli di compattezza organica e ineffabile. Anche il senzatetto muto che appare in due episodi si ricollega a ogni altro elemento del complesso cosmo creato da Simon. Un universo organico e vivo, che racconta con pazienza erosiva una storia e molte storie. C’è la storia dell’uomo che sbatte contro l’istituzione, il folle che perde due incisivi cozzando contro i portoni sbarrati del sistema che lui stesso ha creato e di cui ha perso il controllo molto tempo fa, il cane che morde il padrone. E ci sono le storie degli uomini e delle donne di Baltimora – sui due fronti della trincea, e sopra e sotto e ai lati, guardie, ladri, tossici, Robin Hood, politici, operai, studenti – che scalciano e provano a riprendere in mano le proprie vite. Impresa titanica, impossibile. Al culmine della sua febbrile follia, McNulty decide che diventerà uno di quegli invisibili dèi capricciosi che, arbitrariamente e crudelmente, giocano con la sua vita e la sua carriera. Inquina prove, rapisce Larry, inventa un serial killer: scavalca tutto e tutti, finalmente fa ciò che ritiene giusto. Verrà punito per la sua hybris; verrà radiato, ma non dimenticato.

Non verrà dimenticato Omar, il rapinatore con una predilezione per i ragazzi giovani e aitanti, il giustiziere che ruba solo agli spacciatori. Non verrà dimenticato Stringer Bell, lo shakespeariano gangster che voleva essere uomo d’affari, affamato di soldi, potere e, soprattutto, riconoscimento da parte di quelle istituzioni, di quel mondo normale che sin da ragazzino aveva rifiutato. L’uomo a cui viene concesso uno dei rari momenti vicini all’epos come solitamente lo concepiamo: morto come John Woo (dopo un po’ di bromuro) l’avrebbe fatto morire, condannato da suo fratello. The Wire è, nelle parole di Richard Price, uno dei romanzieri (oltre a lui George Pelecanos e Dennis Lehane) che hanno collaborato alla serie, “l’anti Law&Order”. È l’Infinite Jest che David Foster Wallace aveva immaginato in un futuro distopico, il ricorsivo scherzo di cattivo gusto di un pugno di divinità dal viso nascosto; il mondo in cui può essere fatale pagare per la vetrata sbagliata nella chiesa sbagliata.