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The Whispering Star

2015
Titolo Originale:
Hiso hiso boshi (ひそひそ星)
REGIA:
Sion Sono
CAST:
Megumi Kagurazaka
Kenji Endō
Yūto Ikeda

Il nostro giudizio

The Whispering Star è un film del 2015, diretto da Sion Sono

Sono ormai trascorse ere geologiche da quando Sion Sono ha coraggiosamente deciso di abbandonare (senza tuttavia mai rinnegare) le proprie origini piratesche con l’intento d’inseguire una poetica fra le più schizofreniche e al contempo coerenti che si siano mai viste, una carriera vissuta pericolosamente fra spiccato ecclettismo (Suicide Club, Stange Circus) e lucido lirismo (Love Exposure, Gulty of Romance). Ed è proprio con The Whispering Star che il regista nipponico sembra aver finalmente trovato la perfetta quadratura del cerchio, consegnandoci un autentico oggetto filmico non ben identificato capace di far dialogare con grande raffinatezza la fantascienza poetica di Kubrick e Tarkovskij con l’esistenzialismo lirico di Malick, lavorando in sottrazione secondo il modello crepuscolare di Ozu per dar vita al primissimo esperimento targato Sion Production. Sfruttando le ambientazioni post-apocalittiche e gli abitanti superstiti della prefettura di Fukushima – già sullo sfondo di Himizu e The Land of Hope – The Whispering Star ci proietta in un lontano futuro in cui le intelligenze artificiali proliferano ormai in tutto l’universo, mentre l’umanità si è ridotta a un nugolo di comunità sparse sui diversi pianeti in attesa dell’inevitabile estinzione.

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Tocca dunque all’androide ID 722 Yoko Suzuki (Megumi Kagurazaka, moglie e musa del regista impegnata in una straordinaria performance praticamente in solitaria) imbarcarsi in un viaggio di anni e anni a bordo di un’astronave modellata come una tipica minka giapponese, recapitando pacchi ai pochi uomini e donne residenti sui vari corpi celesti, con l’unica compagnia di un computer di bordo simile a una radio anni ’40 e un registratore a bobine al quale affidare le proprie memorie e riflessioni sul senso dell’esistenza. Un’opera dominata dalla contemplazione dell’assenza e del silenzio che gioca tutto sulla reiterazione dei più semplici gesti del quotidiano, una pellicola nella quale l’unica vera forma di comunicazione consiste in un sussurro non superiore ai 30 decibel, simbolo di un’umanità oramai condannata ad affievolirsi come la fiamma di una candela. La parola viene epurata da qualunque significato semantico attraverso la ripetizione ossessiva di termini tecnici relativi a rotte astrali e brevi dialoghi surreali fra l’androide e i pochi residui umani che sembrano essersi votati a un rassegnato ascetismo, lo stesso scelto dal regista per plasmare narrativamente ed esteticamente la propria opera.

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Si tratta di un’umanità residuale che ha scelto di rinunciare al teletrasporto per affidarsi a un antico metodo di recapito in prima persona che pare illusoriamente conservare un barlume di calore, anche se a gestirlo è un essere sintetico che emula senza comprendere mai fino in fondo l’essenza della razza che l’ha creata. Tempi dilatati all’estremo, uso di una fotografia virata in seppia dall’effetto anacronistico, movimenti di macchina cartesiani, una durata complessiva al di sotto delle due ore (una vera rarità per un cinema-fiume come quello di Sono) rendono The Whispering Star un piccolo gioiello da collocare a gran merito nel filone della nuova fantascienza filosofico-esistenzialista inaugurata da Interstellar e definitivamente suggellata da Arrival, un’esperienza ricca di suggestioni che si coagulano splendidamente nell’evocativo epilogo interamente dedicato a quello spettacolo di ombre che proprio nella lontana Asia trovò i suoi natali prima di far scaturire la scintilla fascinatoria del cinema.