Featured Image

The Limehouse Golem

2016
Titolo Originale:
The Limehouse Golem
CAST:
Bill Nighy (Ispettore John Kildare)
Olivia Cooke (Elizabeth Cree)
Amelia Crouch (Giovane Elizabeth)

Il nostro giudizio

The Limehouse Golem è un film del 2017, diretto da Juan Carlos Medina

Nonostante il clamore suscitato dalla recente notizia riguardante il presunto svelamento dell’identità di Jack lo Squartatore, dopo oltre un secolo e mezzo di fitto mistero, pare che la fascinazione esercitata dal famoso serial killer di Whitechapel nei confronti del cinema neogotico contemporaneo non sia per nulla destinata a esaurirsi, così come dimostra il discreto successo ottenuto da The Limehouse Golem, pellicola inglese ricca di fascino barocco – e chiaramente suggestionata dall’estetica grandguignolesca tipicamente vittoriana – prodotta dall’indipendente Number 9 Films e diretta con spiccato estro formale da Juan Carlos Medina, qui al suo secondo lungometraggio dopo il perturbante Insensibles (2012). Attraverso un impianto narrativo che affonda integralmente nelle atmosfere brumose e malsane del gotico letterario più classico, il film narra di una serie di efferati e oscuri omicidi compiuti a fine ‘800 nel torbido quartiere londinese di Limehouse ad opera di un misterioso assassino, autodenominatosi “Il Golem”, un orribile caso di cronaca nera sul quale viene chiamato a indagare il detective di Scotland Yard John Kildare (Bill Nighty), affiancato dal fido agente Flood (Daniel Mays).

dentro 1

Ben presto, tuttavia, le vicende dell’anziano ispettore s’intrecciano con il caso della giovane Lizzie Cree (Olivia Cooke), attricetta impiegata nella compagnia di varietà del famoso Dan Leno (Douglas Booth) e accusata dell’avvelenamento del marito commediografo John Cree (Sam Reid), quest’ultimo sospettato di essere l’autore dei delitti che affliggono la città. Le indagini di Kildare porteranno a galla una serie di torbidi segreti celati nel marcio sottobosco della società londinese, coinvolgendo persino il brillante mondo dello spettacolo popolare. Attraverso una curatissima confezione estetica che richiama tanto le patinature cromatiche della storica Hammer quanto la rancida e desaturata fotografia di molte opere burtoniane in costume – Il misero di Sleepy Hallow e Sweeney Todd in primis –, The Limehouse Golem da vita a un racconto in verità fortemente derivativo, nel quale il mito di Jack the Ripper si tinge di un modus operandi tratto direttamente dalle note decapitazioni sanguinarie della fiaba nera di Barbablù, mettendo in scena un oscuro universo urbano che possiede molti punti di contatto con la lurida Parigi del Vidocq di Pitof e che, al contempo, delinea una coppia investigativa che non può che citare a chiare lettere la celebre diade Holmes-Watson.

dentro 2

Nonostante le ottime premesse strutturali e l’indiscutibile dimestichezza registica di Medina, The Limehouse Golem perde progressivamente mordente a partire dal corpo centrale della narrazione, nel momento in cui il binario orrorifico viene abbandonato in favore di una lunga e inutilmente contorta digressione verso le tinte più drammatiche che riguardano la vicenda della giovane attricetta popolare, ammorbidendo eccessivamente la componente tensiva al punto da trasformare radicalmente l’intero impianto del racconto. Ne risulta una pellicola zoppa, recalcitrante di promesse non mantenute e che cerca disperatamente di riscattarsi attraverso un doppio twist finale che, tuttavia, nonostante l’onestà d’intenti, si rivela ben intuibile già molto prima dello stacco a nero conclusivo. In The Limehouse Golem riposano i germi di molta serialità televisiva (e parecchia letteratura) appartenente al genere poliziesco-investigativo agèe – da I misteri di Murdoch passando per l’immaginario di E.A. Poe e Conan Doyle, con certi echi addirittura da The Knick –, ma il risultato finale non può certo dirsi all’altezza delle orrorifiche suggestioni in crinolina del Crimson Peak di Del Toro.