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Hole – L’abisso

2019
Titolo Originale:
The Hole in the Ground
REGIA:
Lee Cronin
CAST:
Seána Kerslake (Sarah O'Neill)
James Quinn Markey (Chris O'Neill)
Simone Kirby (Louise Caul)

Il nostro giudizio

Hole – L’abisso è un film del 2019, diretto da Lee Cronin.

Da qualche tempo a questa parte, pare proprio che le buche non siano più un grattacapo di esclusiva competenza della Città Eterna, poiché, anche in quel dell’Irlanda, le rogne in tal senso di certo sembrano non mancare. Con l’unica fondamentale differenza che, mentre le voragini stradali capitoline sono in grado al massimo di generare qualche caviglia slogata con relativa bestemmia di contorno, nella terra dei folletti e della birra scura, buchi e bucatolli portano con sé ben altri orrori, in gran parte sprovvisti della patente del nostro bel mondo. Ed è proprio con una tale forza oscura rigurgitata dalle viscere della sporca terra che l’innocente Sarah (Seána Kerslake) e il di lei frugoletto Chris (James Quinn Markey) si trovano a dover combattere non appena messo piede nella nuova casetta ai margini di una proverbiale selva oscura, desiderosi di iniziare una nuova vita ma ben presto costretti a rivedere da cima a fondo i piani così diligentemente apparecchiati. Quando infatti il pupattolo di turno, da buon pronipote del Damien di Omen, inizia seriamente a buttarla di fuori con schifosissimi banchetti a base di ragni ancora zampettanti, olimpioniche manifestazioni di forza sovrumana e lunghe chiacchierate con non si sa bene chi o cosa, la terrorizzata ragazza madre decide di far luce sulla questione, venendo a conoscenza di un oscuro segreto che sembra covare da secoli proprio nelle profondità del boschetto dietro casa.

Questo, in parole poverissime, il gustoso succo alla base di Hole – L’abisso, suggestivo e ipnotico battesimo del fuoco cinematografico di Lee Cronin che, dopo un lungo e fruttuosissimo apprendistato televisivo di tutto rispetto, sceglie di esordire al lungometraggio con un’autentica fiaba nera che, in altri tempi, avrebbe certo trovato un posto d’onore fra le pagine delle celebri antologie dei Fratelli Grimm. Gli ingredienti per far passare il sonno ai piccini – e certamente anche a qualche grande – ci sono infatti proprio tutti: la casuccia sperduta ai margini della civiltà, l’inquietante foresta ricettacolo di non ben specificate forze ultramondane, un nucleo famigliare monco della componente paterna abbandonato a sé stesso e, cosa più importante di tutte, l’immancabile Mostro famelico pronto a darsi alla pazza gioia con chiunque gli capiti a tiro. Ma dove altri sprovveduti avventori della macchina da presa avrebbero certamente optato per mostrare il più possibile anche a scapito di deliranti effetti poco speciali, il buon Cronin, da devoto fedele della terra di San Patrizio, sceglie di puntare tutto sulla suggestione delle brumose atmosfere irlandesi, ricorrendo a all’umida fotografia desaturata di Tom Comerford, opportunamente corroborata dalle dissonanti melodie ansiogene di Stephen McKeon, entrambe capaci di dare un’oscura aura “leggendaria” a tutto ciò che accade nella coinvolgente ora e mezza di visione.

Col passare del tempo, tuttavia, l’ansia da prestazione dell’esordiente cineasta inizia a prendere il sopravvento, impedendogli di osare fino in fondo laddove sarebbe stato possibile e portandolo a ripiegare su soluzioni di comodo per lo più già viste e straviste che, soprattutto nell’ultimo quarto d’ora, rasentano in più occasioni il plateale plagio con il The Descent di Marshall. Giocare a tirarla per le lunghe, anche se con alla base un ottimo coté di disturbanti punzecchiature da pelle d’oca, non pare certo la soluzione più vincente, annacquando progressivamente tutto il bel nettare così accuratamente confezionato per trasformarlo in un insipido brodino da buttar giù a forza. Ma non occorre disperarsi poi così tanto, poiché Hole – L’abisso è, nel bene e nel male, un’ottima opera, dallo scioccante inizio alla perturbante fine, un piccolo gioiellino orrorifico non completamente maturo ma perfettamente in grado di lasciare nella mente e negli occhi un malsano retrogusto latente, foriero di qualche notte insonne.  O, al massimo, di qualche serio ripensamento prima di tornare a piantare carote e pomodori nel proprio ridente orticello.