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The Handmaid’s Tale – Première Stagione 2

2017
Titolo Originale:
The Handmaid's Tale
REGIA:
Mike Barker, Kari Skogland
CAST:
Elisabeth Moss (June Osborne)
Joseph Fiennes Fred Waterford)
Yvonne Strahovski (Serena Joy Waterford)

Il nostro giudizio

The Handmaid’s Tale – Stagione 2 è una serie tv del 2018, creata da Bruce Miller

C’est une révolte?Non, c’est une révolution”. Il celebre scambio di battute di Laurence Anyways (2012) di Xavier Dolan sembra calzare a pennello a molte serie tv uscite di recente: La Casa di Carta, basata su un’idea di ribellione che ha dato non poco fastidio in Turchia; The Terror, che mette in scena diversi episodi di ammutinamento; e Westworld, tornata con la sua seconda stagione per raccontare un’altra rivolta, quella delle macchine. Questa prima parte dell’anno ci propone insomma una serialità per così dire tumultuosa, nella quale si inserisce a pieno diritto The Handmaid’s Tale, con una doppia première che lascia da subito pochi dubbi: le ancelle sono stanche di fare le “brave ragazze” e sono pronte a combattere. Per la libertà e la loro stessa vita. Dopo il grande successo della prima stagione, la serie creata da Bruce Miller e ispirata all’omonimo romanzo di Margaret Atwood (in Italia, Il racconto dell’ancella, 1985) prosegue il racconto distopico, ambientato in un’America repressiva e misogina che ha reso schiave le donne fertili, privandole di ogni diritto e persino del loro nome. Con la seconda stagione, però, lo show perde la sua base letteraria. Come il testo della Atwood, infatti, la prima si chiudeva lasciando in sospeso lo spettatore sul destino di June (Elisabeth Moss), alias Offred. La seconda stagione parte esattamente da lì, da quella fuga verso l’ignoto.

Nel primo episodio (June) scopriamo così che la protagonista è salva ma la strada per raggiungere la libertà è ancora tutta in salita. La ribellione ha un prezzo, e le ancelle pagheranno cara l’insubordinazione messa in atto per salvare la compagna Janine (Madeline Brewer). Spietata, cruda e brutale, The Handmaid’s Tale si riconferma una serie difficile da guardare ma di grande impatto visivo. Il senso di oppressione e claustrofobia, sentito dalle protagoniste, è veramente palpabile in alcune scene. Ma di pari passo al terrore che serpeggia tra le tante ancelle, cresce lo spirito ribelle di altre. In primis di June, decisa a non piegarsi alle imposizioni e alle minacce di Zia Lydia (Ann Dowd) e Serena (Yvonne Strahovski). La protagonista è ancora più combattiva e cazzuta di come l’avevamo lasciata, e non perde occasione, specialmente con Nick (Max Minghella), di far emergere la rabbia, il desiderio di indipendenza e soprattutto di controllo (i parallelismi con Dolores e Maeve di Westworld si sprecano). Un taglio di capelli, un cambio d’abito si fanno allora metafora della ripresa della propria identità e di un primo, doloroso passo che avvicina la nostra eroina verso l’agognata libertà. Tanti i flashback che si alternano al presente, non solo su Offred.

Nel secondo episodio (Unwomen), la protagonista lascia maggiore spazio a Emily (Alexis Bledel) – un tempo Ofglen –, confinata nelle colonie per smaltire rifiuti tossici. Qui, tra cortine di fumo e lande contaminate, troviamo uno scenario post-apocalittico, nel quale fanno la loro comparsa le “non-donne”: donne sterili, anziane e sovversive, non più utili al regime di Gilead. Da un lato, attraverso le incursioni nel passato, emergono omofobia e discriminazione, dall’altra, nel presente, tra un episodio di vendetta e (ancora) di ribellione trova spazio anche la solidarietà femminile – altro tema fondamentale per la serie. The Handmaid’s Tale, dunque, conferma la bontà dello show, nonostante alcune lungaggini e un’eccessiva lentezza di ritmo, con un animo meno intimista e più votato all’azione, ma rigorosamente femminile e femminista. Se nel 2017 la serie, politica fino al midollo, è assurta a manifesto del movimento e di una stagione televisiva dominata dalle donne, chissà che anche quest’anno non diventi la punta di diamante, la testa d’ariete di una “serialità in rivolta”. È ancora presto per dirlo ma intanto: “Welcome to the fight”.