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Temple

2017
Titolo Originale:
Temple
REGIA:
Michael Barret
CAST:
Naoto Takenaka (Ryo)
Asahi Uchida (Ittoku)
Logan Huffman (Christopher)

Il nostro giudizio

Temple è un film del 2017, diretto da Michael Barrett

La colpa è tutta di Nakata Hideo. Se il suo Ringu non avesse spopolato oltre i confini del Sol Levante, oggi forse non avremmo a che fare con un film come questo. Ma, senza dare troppe responsabilità al regista nipponico, il film di Michael Barrett è il rovescio della medaglia di un’esportazione meravigliosa, che ha condotto film e suggestioni giapponesi al pubblico occidentale. Il problema principale di un tentativo di ibridazione, però, è proprio questo, l’unione di influenze e fascino orientale con un cinema di stampo differente. L’avevano capito bene i remake dei primi anni 2000, dove l’amalgama era perfettamente riuscito senza snaturare nulla. Ma i tempi passano e le cose cambiano, le mode finiscono e ci si ritrova con tante idee e tutte confuse. È probabilmente così che Simon Barrett, sceneggiatore di V/H/S e Blair Witch, si è approcciato allo script di Temple, riuscendo nella difficile impresa di portare avanti il nulla. Non c’è niente che valga la pena ricordare, niente che riesca a creare atmosfera o inquietudine, non esiste alcunché in grado di spiegare cosa possano aver visto di interessante per produrlo.

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E la trama latita da sé: Kate (Natalia Warner) è in Giappone con il fidanzato James (Brandon Sklenar) e l’amico d’infanzia Christopher (Logan Huffman), decisa a visitare santuari e templi del Paese. Uno in particolare grida “sono infestato” da chilometri, ma naturalmente fanno tutti finta di non cogliere i segnali e proseguono nella visita, finendo vittime delle entità che lo abitano. Temple prova sinceramente a giocare con questo plot e sull’ambiguità di alcune situazioni, sulla possessione di un personaggio e sull’effettiva presenza malefica, ma ogni passo in avanti nella storia è un passo indietro nell’interesse dello spettatore. Che, invero, scema gradualmente a causa di una noia tanto diffusa e persistente da apparire la vera, unica, grande protagonista. La cosa insolita è la percezione che si avverte per tutta la durata del film, un senso di errata consapevolezza autoriale, quasi che i due ritenessero che quella fosse l’esatta via su cui procedere, tutto perfetto, tutto precisamente come dev’essere fatto.

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Peccato che in Temple i Barrett non abbiano la minima idea di dove stanno andando e, forse, nemmeno di come lo stanno facendo. La regia di Michael è visibilmente limitata, probabilmente per inesperienza, mentre quello che davvero lascia perplessi è la scrittura di Simon, scialba e priva di mordente, incapace di intrattenere, di caratterizzare, di spaventare o suggestionare. Se pensiamo a suoi precedenti lavori, The Guest e You’re Next, una simile sceneggiatura sembra uno scherzo. Al momento in cui inizia davvero a succedere qualcosa, dopo un minutaggio che pare interminabile, ci si rende conto che lo sviluppo dei personaggi non c’è stato e risulta quindi impossibile provare anche un minimo di empatia, se non di interesse, per loro. Topos riciclati nel modo peggiore, in un esotismo che sortisce solo a metà l’effetto desiderato: a parte le ambientazioni giapponesi e un bravo attore come Takenaka Naoto, infatti, l’effluvio di cliché banalizza qualsiasi cosa. Inutile. E questo è davvero un crimine.