Featured Image

Suspiria

2018
Titolo Originale:
Suspiria
REGIA:
Luca Guadagnino
CAST:
Dakota Johnson (Susie Bannion)
Tilda Swinton (madame Viva Blanc / Helena Markos / Dr. Jozef Klemperer)
Chloë Grace Moretz (Patricia Hingle)

Il nostro giudizio

Suspiria è un film del 2018, diretto da Luca Guadagnino

Bisogna fare, per seguirci, uno sforzo mentale, tornando un attimo al Prometheus di Ridley Scott. Ricordate? Vi si raccontava la storia dell’astronave del titolo che, nell’anno 2093, raggiungeva la luna LV-223 del gigante gassoso Calpamos, trovandovi le tracce – e più precisamente dei sedimenti olografici – di ciò che era accaduto tempo prima, molto tempo prima, all’interno delle grotte labirintiche che costituivano il ventre di quel mondo scuro, stinto e possente. Suspiria, il primo Suspiria, che cito adesso e non dovrei citare più nel prosieguo delle argomentazioni, poiché non c’entra niente – non poco, ma proprio niente o quasi – con il Suspiria su cui dobbiamo diffonderci, venne equiparato da qualcuno che mi pare di ricordare fosse Pier Maria Bocchi, sulle pagine di Nocturno, a Terrore nello spazio di Bava. Bocchi sosteneva questa tesi, in apparenza balzana ed eccentrica ma, in realtà, molto sensata, che, da un punto di vista sia figurativo sia, anche, narrativo, l’odissea di Jessica Harper tra gli spettri colorati della Vecchia Europa fosse, mutatis mutandis, molto simile a quel che succedeva ai cosmonauti di Bava piombati tra i fumi e le fluorescenze di un pianeta in acido. Del resto, i punti di giunzione tra Terrore nello spazio e Suspiria sarebbero moltiplicabili all’infinito. E Nicolas Winding Refn, forse il cultore massimo sulla Terra del film di Bava, ha girato The Neon Demon, l’unico possibile remake di Suspiria che avesse un senso pensare e fare.

Luca Guadagnino è, dunque, come Scott, che fa atterrare la sua Prometheus dentro un ambiente vecchio e strano, cupissimo, dove ogni tinta si è ormai quasi del tutto cancellata e sopravvivono solo le ombre, rari e rapidi bagliori, tracce di ciò che fu. Argento è il passato, per più di un verso indecifrabile. Erano altre cose, ammirevoli, certo, stupefacenti, ma che si sono estinte. La Luna LV-223 ha esattamente lo stesso statuto della Berlino del 1977 dove Guadagnino si trova a celebrare l’avvento di una antica e potentissima Deità, nell’involucro di un mondo triste e caotico, autunnale, che piove senza requie sospiri, lacrime e tenebre. Il mito interessa poco, tuttavia, gli artefici di una sceneggiatura (c’è anche il montatore Walter Fasano, che fu tra le penne della Terza Madre, per incidens) dalla quale è stato scremato tutto ciò che poteva suonare troppo esoterico e mistico e dove perdura e impera la materia, il suo segno pesante, concretissimo  e persino un po’ greve. Dakota Johnson che incarna la rivelazione divina, è molto normale. Forse troppo, persino. Ma nell’ottica di questo racconto è giusto, perché niente deve rifulgere troppo, niente deve erompere con virulenza o schizzare con troppa forza. Nemmeno la divinità è ieratica. Nemmeno la Morte, che è solo uno zombi. Perché si chiama Madre dei Sospiri e la prendono alla lettera, favorendo il soffio, il singulto, il rumore affievolito rispetto all’urlo, allo strillo, alla lacerazione. Anche le (rare) operazioni di morte sono sempre pulite, quasi anodine, l’immagine totalmente ribaltata delle esibizioni di forza e di bellezza argentiane. Sebbene l’uccisione di Olga, schiantata per magia simpatica dal balletto della Johnson, dimostri di potersi mettere efficacemente in gara emulativa, solo che Guadagnino lo voglia. Ma Guadagnino – a differenza di Refn – non lo vuole.

Dentro il Suspiria 2018 si direbbe che c’è di tutto, stando a ciò che chiunque sente l’impulso di scrivere, di fissare nero su bianco, una volta visto il film. Un fenomeno nuovo, interessante, con pochi o nessun precedente, a memoria nostra. Sembra che Guadagnino sia riuscito a costruire qualcosa che cela in sé più significati di quelli che, con una bella metafora, potrebbe esprimere l’idea del “piumaggio cangiante del pavone”. Il che è, allo stesso tempo, molto affascinante e molto sospetto. Resuscitiamo il concetto di opera aperta, quindi? Siamo da quelle parti, anche se quanto volontariamente e preordinatamente, è difficile dirlo. Certo, senza nemmeno troppi sforzi, qui dentro ci si riescono a infilare la “bleiche Mutter”, la “pallida Madre” di Brecht, e le semnai theai, le dee sublimi di De Quincey; la Magna Mater, pingue e flaccida come i cascami tumorali della (obiettivamente un po’ ridicola) Markos, e la Mater Terribilis, cioè il lato oscuro, vorace, predatorio, potente e giustiziere, incarnatosi in Dakota Johnson, che spezza i quadretti familiari mennoniti che elogiavano la Madre Santa. Come Nocturno, abbiamo definito Suspiria “il film dell’anno” e dato il fermento che gli è sorto intorno e il culto che sta parimenti fiorendo, siamo stati splendidamente profetici. Il resto, la lotta tra i sì e i no, tra gli interpreti e la musica, tra le coreografia e la fotografia, va lasciata alle discussioni specialistiche di noi addetti ai lavori. E comunque, se vi è piaciuto il Prometheus di Scott, vi deve piacere, per forza, anche il fosco pianeta del Suspiria di Guadagnino.