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Survival of the Dead

2009
Titolo Originale:
Survival of the dead
REGIA:
George A. Romero
CAST:
Alan Van Sprang (Sarge "Nicotina" Crocket)
Kenneth Welsh (Patrick O'Flynn)
Kathleen Munroe (Janet /Jane O'Flynn)

Il nostro giudizio

Con Survival of the Dead George A. Romero ritorna all’anno zero, a una nuova Notte dei morti viventi, che cancella i film precedenti.

Survival of the Dead voleva essere un remake horror di Il Grande Paese, tant’è che Romero prima di iniziare le riprese ha “costretto” attori e troupe a vedere più volte il dvd del film. Il risultato uno zombi-movie dei più atipici. Qualcosa che va oltre il già di per sé variegato universo romeriano. Un country horror con echi western che guarda cinicamente al presente e al mal di vivere della nostra società. C’è di tutto, dalla guerra in Iraq (ma potrebbe essere qualsiasi guerra), al problema dell’immigrazione, alla difficile convivenza con persone di credo, abitudini e costumi (alimentari) diversi.

C’è persino una lesbica che fa il soldato e si masturba sulla camionetta maledicendo un mondo che si è portato via gran parte della popolazione femminile. Si torna all’anno zero, quello sancito da Diary of the Dead, a una nuova “notte dei morti viventi” che ha cancellato con un colpo di spugna quando raccontato nei quattro film precedenti. Le “teste morte”, come vengono chiamati oggi gli zombi, camminano ancora. Cosa li ha richiamati alla vita è un mistero e non interessa più nessuno.

Un gruppo di militari finisce su una piccola isola dove si consuma un’eterna faida tra due famiglie rivali, gli O’Flynn e i Muldoon. Il pomo della discordia stavolta è su come affrontare la questione “teste morte”. Il vecchio O’Flynn è dell’idea che vadano sterminati tutti senza pietà, mentre il vecchio Muldoon vorrebbe trovare il modo di integrarli nella società. Come? Facendogli mangiare qualcosa di diverso dalla carne umana. Chessò? Magari un cavallo… Insomma non un film per vegetariani.
O’Flynn ha una figlia, anzi due, due gemelle. Una è uno zombi ma continua a andare a cavallo, l’altra vorrebbe fare da pacere tra le due fazioni, proprio come Gregory Peck del film di William Wyler. I soldati stanno a guardare e non sanno che posizione prendere.
Anche Romero non prende nessuna posizione. I suoi personaggi sono tutti “negativi” o forse è meglio dire che “non sono positivi”. Pure il vecchio Muldoon, che nella sua caparbietà nel voler addomesticare i morti viventi sembra spinto più da una patologica necessità di imporre le proprie idee che non da una motivazione morale. Alla fine il problema è sempre lo stesso: la disumana natura umana. L’uomo è condannato a commettere i propri errori all’infinito anche dopo la vita.
E nell’eterna lotta tra i due vecchi decrepiti si possono rintracciare gli echi del Novecento di Bertolucci con Robert De Niro e Gérard Depardieu che continuano a darsele di santa ragione anche quando le gambe non li sorreggono più.
 Ma di sangue in Survival of the Dead  ce n’è? Ce n’è, ce n’è. Non tanto, ma ce n’è. A volte è contaminato dal fastidioso digitale dell’era moderna (all’inizio a uno zombi viene fatta esplodere la testa e la calotta cranica si posa sul moncherino del collo come in un cartone animato), mentre in altri momenti è il buon vecchio lattice a regalare sincere emozioni (un uomo squarciato a mani nude come in Il giorno degli zombi). Ma non è questo che al Romero del nuovo millennio interessa veramente.
Il suo è uno sguardo più ironico, forse divertito, che malcela però una certa, innegabile, nostalgia.