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Stoic

2009
Titolo Originale:
Stoic
REGIA:
Uwe Boll
CAST:
Edward Furlong (Harry Katish)
Shaun Sipos (Mitch Palmer)
Sam Levinson (Peter Thompson)

Il nostro giudizio

Stoic è un film del 2009, diretto da Uwe Boll

Non ci sono risposte in Stoic. Sì, apparentemente pare che Boll voglia dirci che il sistema carcerario conduce gli uomini alla perdizione e non al rinsavimento, ma è solo la confezione. Dentro dovrete accontentarvi di guardare la violenza che germoglia in una stanza di pochi metri come in una serra, con quattro ragazzi che passano da una goliardica partita di poker a obbligare uno di loro a mangiare il proprio vomito. Non esistono le regole che ci sono là fuori, dice uno dei sopravvissuti. Non ci si può domandare se sia giusto o sbagliato, tirar su un tribunale di Norimberga e mettere tre individui davanti alle proprie responsabilità, ai crimini che hanno commesso. Non ci si può aggrappare alla speranza della pietà. In Stoic la pietà è un riflesso automatico che produce gesti minimi (una carezza, un asciugamano pulito teso verso un viso stravolto) ma sono piccoli flash nelle tenebre e non significano nulla.

Boll dirige un film che è un blocco d’aria compressa, talmente teso e gonfio di malora che più di una volta lo spettatore si sorprenderà a essere in debito d’ossigeno. I protagonisti sembrano rappresentare i quattro gradi che separano la vittima dal carnefice, solo che escludendo il condannato, gli altri tre producono una sorta di balletto tra sensi di colpa, egoismi, crudeltà che dicono molto su quanto la coscienza sia strettamente collegata all’istinto di sopravvivenza. Quello che Stoic vuole svelarci è una sorta di meccanismo infernale che si innesca in una certa situazione sociale limitata. Questo meccanismo mette di fronte a una scelta: o ci si lascia trasportare da esso e si cavalca la carne sottostante fino alla fine o si finisce spalmati sulle rotaie. Il cane mangia cane non fa onore ai cani. Il detto dovrebbe essere uomo mangia uomo. Siamo pronti ad accettare qualsiasi regola. Se per risparmiare sofferenze a noi stessi dobbiamo infliggerne per primi a chi è più vulnerabile al fine di saziare la sete di sangue dei lupi in attesa, allora è ciò che bisogna fare. È una regola da rispettare. Lo è in ogni ambiente ristretto. Sul posto di lavoro non esistono le regole di cui parla il codice civile, ce ne sono altre. Figurarsi in un carcere.

C’è uno scrittore morto da poco che ha cercato di raccontare questi centri oscuri nelle relazioni umane: Jack Ketchum (l’autore del romanzo The Girl Next Door). Stoic poteva essere una sua storia. E come le vicende che raccontava il vecchio Jack, anche questa è tratta da fatti veri. Le figure dei serial killer, ormai così stilizzate dal cinema e dalla letteratura da essere confuse con quelle degli eroi e gli outsider o addirittura i ribelli, ormai non raccontano più nulla su quanto poco sappiamo degli uomini. Sono storie come Stoic a ricordarci che se i campi di sterminio, i Kmer Rossi, le legioni di streghe bruciate sul rogo, se tutte queste cose sembrano ormai relegate a un irripetibile trascorso storico, i meccanismi mentali che le hanno generate rinascono ogni volta che un vagito si libera lungo una buia corsia asettica. Boll è un regista di cui si dice molto male e il principale responsabile di questa cattiva fama è lui stesso, ma gli bastano 90 minuti per farci vedere che in realtà è uno che può fare di tutti gli O’Malley o i Courtès un fascetto di soldatini e tirarli nel fuoco.