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Spira Mirabilis

2016
Titolo Originale:
Spira Mirabilis
REGIA:
Massimo D’Anolfi, Martina Parenti
CAST:
Marina Vlady
Leola One Feather
Felix Rohner

Il nostro giudizio

Spra Mirabilis è un documentario del 2016, diretto da Massimo D’Anolfi e Martina Parenti

Non è un cinema facile, quello dei milanesi Massimo D’Anolfi e Martina Parenti. Non è nemmeno un cinema per tutti. Forse non è nemmeno cinema, nel suo senso più letterale e comune. Forse sarebbe più corretto, sebbene limitante, definirlo come poesia atta a suscitare pensieri, idee ed emozioni. Spira mirabilis è la loro ultima opera, finalmente selezionati in concorso a Venezia, che segna allo stesso tempo una spirale meravigliosa tra i loro lavori precedenti e il futuro della loro sperimentazione. Insieme fin dal 2007, D’Anolfi e Parenti hanno saputo conquistare i festival di tutto il mondo con i loro documentari d’osservazione (scuola Frederick Wiseman, per intenderci) cominciando dagli uffici per la richiesta matrimoniale (I promessi sposi, 2007) arrivando ora a ricercare il meglio che alberga dentro di noi. Un cammino intrapreso raccontando imprenditori italiani in cerca di successo in Cina (Grandi speranze, 2009), la vita all’aeroporto di Malpensa (Il castello, 2011), la devastazione del territorio sardo dove sono testate armi e prototipi distruttivi (Materia oscura, 2013) e l’incessante lavoro dietro alla basilica di Milano (L’infinita fabbrica del Duomo, 2015). Per la prima volta, il racconto di Spira mirabilis, si stacca da un luogo fisico, intraprendendo un viaggio nei meandri dell’uomo, anzi, della sua parte migliore.

Lo spunto è un piccolo animale, la Turritopsis nutricula, comunemente nota come medusa immortale, attualmente studiata dallo scienziato Shin Kubota dell’università di Kyoto e capace di rigenerarsi all’infinito. Questa ricerca di immortalità, osservata nei laboratori di questo romantico scienziato cantante, viene alternata da altri tre racconti: il percorso del marmo della Fabbrica del Duomo, le note infinite e curative delle sculture sonore dei bernesi Felix Rohner e Sabina Scharer, il passato e il presente della comunità Lakota degli Stati Uniti. I quattro segmenti, chiaramente riferiti ai quattro elementi, nell’ordine, acqua, terra, aria e fuoco, sono poi uniti dall’elemento etere, rappresentato dall’attrice Marina Vlady che, irradiata dalla luce di un proiettore cinematografico, declama passi tratti da L’immortale di Borges. Non c’è continuità, interazione, voice over, intervista o sottotitolo a determinare un percorso di senso, ma una continua sollecitazione visiva e sonora (bellissime le musiche del “solito” collaboratore Massimo Mariani), indirizzata ad elevare coscienza e spirito. Proprio come per le parole nella poesia, le immagini sono montate secondo assonanze e analogie, probabilmente imperscrutabili a chi è abituato al mero cinema narrativo con spiegone, ma a cui è necessario abbandonarsi consapevolmente, diventandone complice e attore attivo.

Per questo non è un film per tutti, e forse non è nemmeno un film, ma qualcosa di più. Un viaggio da intraprendere, un’esperienza attiva da vivere e da cui uscirne diversi. Gli stessi registi hanno che Spira mirabilis ha «una struttura  narrativa che combina pensiero razionale ed emotivo e dà vita a un affresco poetico che racconta la parte migliore di noi, mostrando la responsabilità, la debolezza e la forza che gli uomini hanno nei confronti del mondo in cui nascono, crescono,  vivono e di cui sono semplicemente ospiti passeggeri». Non pronti a tale esperienza, molti spettatori a Venezia (proiezioni stampa) hanno deposto le armi, abbandonando la sala, perdendosi l’arrivo al fulcro della spirale meravigliosa. Chi è rimasto è ora una persona migliore avendo potuto provare in prima persona l’umano tentativo di accettare e contemporaneamente superare i propri limiti.