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Sleepy Hollow – Stagione 1

2013
Titolo Originale:
Sleepy Hollow
CAST:
Tom Mison (Ichabod Crane)
Nicole Beharie (Abbie Mills)
Orlando Jones (Frank Irving)

Il nostro giudizio

Sleepy Hollow – Stagione 1 è una serie tv del 2013, andata in onda per la prima volta in Italia nel 2013, ideata da Alex Kurtzman, Roberto Orci e Len Wiseman.

Leggiamo Sleepy Hollow e subito pensiamo al film di Tim Burton, ma in realtà la rivalità tra Ichabod Crane e il Cavaliere senza testa è apparsa per la prima volta nel 1820 in un racconto di Washington Irving, e da allora è stata adattata innumerevoli volte per il cinema, la tv, il palcoscenico. Alex Kurtzman e Roberto Orci (collaboratori storici di J.J. Abrams, e con lui creatori di Fringe), con l’apporto di Len Wiseman (noto soprattutto per la saga di Underworld), partono proprio da lì, da un personaggio che abita da tempo l’immaginario americano. La ricetta di Sleepy Hollow è quella di un minestrone dagli ingredienti diversissimi, che sulla carta promette un sapore imbarazzante, ma alla prova del gusto risulta solidamente soddisfacente.

In un periodo in cui le serie via cavo frantumano sotto il loro successo qualsiasi proposta free (gli ascolti della nuova annata di The Walking Dead hanno raggiunto altri record stellari), Sleepy Hollow impara la lezione e si propone fin da subito con una stagione breve, di soli 13 episodi: niente ansia da cancellazione e insieme la possibilità di infilare un ritmo indiavolato, senza la costrizione di dover diluire rivelazioni in 22 o più puntate. Mentre Supernatural – una delle produzioni con il fandom più agguerrito degli ultimi anni – giunge alla nona stagione e mostra segni di cedimento, Sleepy Hollow – Stagione 1 si candida a diventarne il sostituto nel cuore degli appassionati, riciclandone il fascino per creature classicamente orrorifiche, presenze demoniache, questioni bibliche.

C’è più di una spruzzata di procedurale (il mostro della settimana), in Sleepy Hollow – Stagione 1, ma anche una trama orizzontale forse poco sorprendente ma sufficientemente stuzzicante. E poi c’è una persistente (auto)ironia di fondo, esaltata dalla scelta dell’ambientazione contemporanea: Ichabod si risveglia nel XXI secolo e, pur con tutta la sua preparazione storico/mistico/guerriera, deve litigare con l’implausibilità delle moderne tecnologie. Il cortocircuito è innocuo ma diverte. E il pubblico apprezza.