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I saw the devil

2010
Titolo Originale:
Akmareul Boattda
REGIA:
Jee-woon Kim
CAST:
Byung-hun Lee
Min-sik Choi
Gook-hwan Jeon

Il nostro giudizio

I Saw the Devil è un tripudio di violenza, un monumento iperrealista alla crudeltà che parte dal poliziesco per sconfinare nell’horror: l’inarrestabile meccanismo a orologeria approntato da Jee-woon Kim si rivela presto una perfetta trappola per topi, ove i ruoli di vittima e carnefice si ribaltano costantemente.

Gli asiatici sono sempre più avanti di noi, praticamente in tutto, anche e soprattutto nel cinema. Mentre noi siamo fermi, per esempio, a Cicciolina e Moana Pozzi, loro sono già ai Tentacle Rape, quei porno con innocenti fanciulle violentate da piovre assassine; e mentre noi ci trastulliamo con i neo-noir alla Michele Placido, loro sfornano perversioni d’essai come questo coreano I Saw the Devil per la regia di un Jee-woon Kim (Two Sisters e A bittersweet Life).

È facile apprezzare questo tipo di cinema, corroborante, genuino, sboccato, è invece più difficile capirlo perché lo scarto tra due mondi, quello asiatico con le sue frementi contraddizioni, il suo boom selvaggio di idee, trovate, innovazioni, e quello occidentale, forse più paralitico o senz’altro meno coraggioso, è oserei dire abissale. Questo I Saw the Devil non fa eccezione, e già soltanto dalla sua allucinata eppure perfetta, glaciale sinossi si intuisce come ciò che da loro, oltre gli Urali, è cinema commerciale, da noi non può che essere relegato al circuito d’intenditori, sempre che il prodotto trovi una sua (anche periferica) distribuzione.

Dopo la morte atroce della moglie, un poliziotto pianifica un’altrettanto atroce vendetta: ci si muove lungo le dorsali frastagliate del rape & revenge, ma non proprio, perché l’agente speciale, una volta catturato il serial killer, gli fa ingoiare una ricetrasmittente che gli permette di localizzarlo in ogni momento, quindi lo lascia andare per riprendere la caccia. Si tratta di un mostruoso gioco al massacro, che consente all’implacabile vendicatore di prolungare il più possibile la tortura psicologica (oltre che fisica), ma che permette anche al fuggitivo di mietere ulteriori vittime durante l’inseguimento. Perché tutto questo? Non si sa, forse perché nell’universo mentale di quest’uomo sconvolto dal dolore non c’è spazio per la ragione, quanto soltanto per una disumana e aberrante forma di razionalità numerica, o forse perché gli asiatici mettono sempre più cattiveria in tutto ciò che fanno.

I Saw the Devil è un tripudio di violenza, un monumento iperrealista alla crudeltà, mascelle disarticolate a mani nude, bastonate spacca cranio che non uccidono ma che lasciano sempre quel barlume minimale di vita, di modo che la corsa possa continuare all’infinito, tra camere d’ospedale, strade, abitazioni private. Ciò che in Occidente viene rivelato per ellissi, censurato, garbatamente espulso dalla pellicola media, qui è saturato, gonfiato, deformato senza alcun criterio di massima, senza rispetto per la credibilità, per il buonsenso o finanche per il semplice buongusto dello spettatore. Pare che l’intero film sia soltanto un pretesto per inanellare una serie raccapricciante di brutalità e soprusi ai danni di chiunque, dagli stupri agli squartamenti, dalle coltellate alle decapitazioni, tuttavia questo meccanismo inarrestabile, a orologeria, alla fine incastra alla perfezione i suoi tasselli e si giustifica in un’epitome di beffarda imperturbabilità.

Jee-woon Kim è un genio del crimine (cinematografico), la sua storia è una trappola per topi straordinariamente congegnata, dove però la linea di demarcazione tra vittima e persecutore non è mai ben delineata. È piuttosto un dispositivo inerziale, una proverbiale palla di neve che innesca una incontrollabile valanga, e quando ormai il processo è avviato non resta che correre ai ripari e sperare che finisca il più presto possibile.