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Rosina Fumo viene in città per farsi il corredo

1972
Titolo Originale:
Rosina Fumo viene in città per farsi il corredo
REGIA:
Claudio Gora
CAST:
Ewa Aulin (Rosina Fumo)
Hiram Keller (Francesco)
Fiona Florence (Bruna Frizzi)

Il nostro giudizio

Rosina Fumo viene in città per farsi il corredo è un film del 1972, diretto da Claudio Gora.

Nel suo munifico passaggio in Italia, dopo Lattuada, Questi, Brass e Guerrieri, la giovane Ewa Aulin si inchina alla direzione del grande Claudio Gora, nobile volto del nostro cinema che fu, in questo melò sfortunato che non ha visto praticamente nessuno. Un titolo proclive alla mostra di scenari strapaesani da bozzettismo rosa, non fosse che alla prova dei fatti quello di Gora si rivela un congegno drammaturgico insospettabilmente vitale, carico di quel fulminante e morbosetto gusto visivo che infiammava le pratiche più spregiudicate della cinematografia libera anni ‘70. Cinema dei furori, dei pruriti e degli appetiti sessuali, un quasi rape&revenge tutto giocato su strenue opposizioni tra corruttori (i soliti borghesi della metropoli – nella città, l’inferno) e angelici naîf (i soliti campagnoli venuti dal paese buono e al riparo dalle inside del moderno). Simile, per umori e strategie – ma molto meno crudele – a Ingrid sulla strada, Rosina Fumo viene in città per farsi il corredo stupisce innanzitutto perché da un titolo e da un regista così ci saremmo aspettati tutt’altro…

Invece Gora affonda il suo sguardo in una realtà certo un po’ fotoromanzata, ma non per questo meno spavalda e purulenta, tratteggiando i suoi personaggi secondo un profilo psicologico perfettamente centrato: lei, la Aulin (finalmente in un ruolo capovolto rispetto al suo look disinibito di allora), è l’ingenua cappuccetto rosso che va a prestar servizio da una famiglia bene della città per metter da parte un po’ di soldi per sposarsi col fidanzato Sandrone (sic!), partito per il militare; lui, Hiriam Keller, è il tipico rampollo viziato-annoiato-cinico, che arriva allo stupro attraverso i passaggi successivi del gioco, della passione (forse) e dell’insistenza testarda. Il tutto filtrato da tracce e modi di messa in scena che preannunciano la lezione samperiana di Malizia – nel gioco del mostrare/nascondere aree di pelle sempre più esposte, così come nella sadica e quasi inconsapevole rete di complicità-sottomissione che si viene a creare tra serva e padrone – e gli struggimenti erotico-psicologici delle imminenti adolescenze inquiete di Gloria Guida (La ragazzina, Quell’età maliziosa).

Nel suo anticipare questo cinema alle porte, Gora respira inevitabilmente il mood torbido di quegli anni, costruendo una sorta di anti-fiaba con morale finale, non certo lieta e per nulla catartica, in bilico continuo tra pratiche basse e coscienza intellettuale, tra disinvoltura erotica e cattolicesimo d’appendice; la sua Rosina Fumo è un personaggio autenticamente popolare e primigenio di sottoproletaria pudicamente offerta all’altare del cinismo borghese. Rosina Fumo viene in città per farsi il corredo è una specie di parabola evangelico-umanistica sulla frattura tra il mondo dissoluto del benessere urbano e la purezza salvifica della buona (e bella) selvaggia, contadinotta fin troppo ingenua e obbediente. Peccato che, a tutt’oggi, l’ultimo film di Claudio Gora non sia stato visto come meritava. Forse chissà, con un altro titolo…