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Ride

2018
Titolo Originale:
Ride
REGIA:
Jacopo Rondinelli
CAST:
Lorenzo Richelmy
Ludovic Hughes
Simone Labarga

Il nostro giudizio

Ride è un film del 2018, diretto da Jacopo Rondinelli

Il grande problema nello scrivere di Ride è che è impossibile scrivere di Ride. Scriverne, del film di Jacopo Rondinelli, che lo firma come regia, ma anche, inevitabilmente, film dei due Fabi, Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, che lo hanno prodotto e lo hanno artisticamente supervisionato, implica dire di che parla. E per dire di che parla, occorre infrangere la consegna al Silentium che è stata rigorosissima, da parte degli artefici tutti e della produzione. A ragion veduta, perché entrare dentro Ride è come saltare dentro un abisso buio di notte. Sentendo il cuore in gola quando si balza giù e non sapendo dove si atterra e se si atterra da qualche parte. E allora, per poter dire qualcosa senza in realtà rivelare niente, vai di giri, di circonvoluzioni, di volteggi. Gli stessi volteggi che sin dai manifesti contraddistinguono l’estetica – ma io direi anche l’etica – di questo film che non sembra affatto un film italiano e, al contempo, non sembra  neppure un film straniero. Ride è un’entità X che viaggia da sola nell’oceano cinematografico. La stessa cosa che pensai e probabilmente pure scrissi un paio di anni fa vedendo Mine, il precedente film di Fabio&Fabio, allora anche registi.

Certo, il grande insieme in cui inquadrare Ride è quello del POV, point of view movie, cinema del punto vista, cinema in soggettiva. Non c’è Dio, come in un lungometraggio canonico, a restituirci con il suo sguardo quel che accade. Non c’è occhio onnisciente ed esterno. La vicenda di due ragazzi americani, “raiders acrobatici” che hanno scelto il rischio come sale dell’esistenza e che per questo si trovano, loro malgrado, rapiti e catapultati al di qua dell’Oceano, a gareggiare downhill in un ignoto contesto alpestre, è raccontata solo e soltanto da dispositivi tecnologici interni al “gioco”: le go-pro che hanno addosso, le riprese dei droni, videocamere disseminate sul percorso, webcam e tutto l’armamentario congenere. Chi regge le fila? Loro conoscono alcune, minime e criptiche, regole di ingaggio grazie a un ologramma. Chi sono gli altri concorrenti? Ne incrociano soltanto una, una spagnola in lacrime, il cui compagno ha appena fatto la fine del topo… E qui mi fermo. Scapicollarsi giù per l’erta china di una montagna a velocità supersonica diretti verso non si sa dove, con 250.000 dollari in palio, è compendiabile nell’immagine che ho usato sopra del salto nell’abisso. E vale, naturalmente, sia nel significato letterale sia, soprattutto, in quello metaforico. Si vive per correre e si corre per vivere, a riassumerla brutale. Perché si hanno coltelli acuminati al culo e perché la tua morte è la mia vita. La sintesi della contemporaneità, benedetta dai mille occhi di un mondo invisibile ma immanente e imminente.

La congruenza dello stile al tema è totale: brachilogie, tagli continui, ritmo tachicardico – il montaggio impera, assoluto – con una colonna sonora – molto efficace – di conseguenza. Ride è scandito in tre momenti che sono anche tre differenti movimenti: la frenesia dell’inizio – quasi una dimostrazione di forza e di valentia registica: “guardate che siamo capaci di fare!”. E noi apprezziamo -; poi  una fase più quieta, mediana, che serve a far scorrere il midollo nel racconto; e una sezione conclusiva che riprende furia giocando alla crescita, in accumulo, delle scoperte e dei colpi di scena, con finale imprevedibile tra gli imprevedibili. L’azione è strabiliante e per questo si è detto che Ride non somiglia a un film italiano. In mezzo c’è, forse, il rischio che si stia un po’ lunghi, ma la sceneggiatura dei due Fabi e di Marco Sani ne aveva di input da aggiungere; mentre gli ultimi venti minuti si vivono in apnea e fanno la grandezza del film, con veleni cospirativi in coda che vibrano una bella puntura (a più d’uno è venuto in mente Herditary: e chi può capire, capisca). Gli interpreti sono due buoni proiettili in canna a Ride: Lorenzo Richelmy che interpreta Max Falco, puttaniere pieno di debiti con la mala, e Ludovic Hughes nella parte del più giovane Kyle Robertson, uno che tiene famiglia ma non tiene soldi e per questo si troverà a sfidare la morte e i suoi emissari teschiati di nero sui monti del Trentino. Va necessariamente aggiunto che il film è il primo tassello di un “universo espanso” che comprende un romanzo e un fumetto (autore Adriano Barone), dai quali saremo illuminati su alcuni dei misteri che Ride ci lancia contro come guanti di sfida… Direi che va necessariamente visto.