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Rememory

2017
Titolo Originale:
Rememory
REGIA:
Mark Palansky
CAST:
Peter Dinklage (Sam Bloom)
Julia Ormond (Carolyn Dunn)
Anton Yelchin (Todd)

Il nostro giudizio

Rememory è un film del 2017, diretto da Mark Palansky

La memoria costituisce la componente sicuramente più profonda dell’identità umana, ciò che ci rende liberi dalla schiavitù di un disperato ed eterno presente. È risaputo, tuttavia, come la maggior parte dei processi mnemonici siano soggetti all’alterazione e al disgregamento del tempo, impedendoci di conservare una percezione oggettiva del nostro vissuto. Cosa potrebbe  succedere, dunque, se venisse inventato un dispositivo capace non solo di registrare stabilmente, ma persino di “ripulire” tali memorie al punto da renderle integre e accessibili in ogni momento? È proprio da tali suggestioni tematiche – a dire il vero non del tutto originali – che prende le mosse Rememory, coraggioso tentativo messo in atto da Mark Palansky – inattivo dietro la macchina da presa dalla commedia romantica Penelope (2006), fatta eccezione che per due episodi della serie tv Netflix Una serie di sfortunati eventi – di combinare la struttura di uno sci-fi dalle tinte thriller-complottistiche alle atmosfere struggenti di un dramma esistenzialista. L’obiettivo finale non può certo dirsi centrato appieno, tuttavia le basi per un solido prodotto d’intrattenimento dal vago sapore indie ci sono davvero tutte, nonostante una lunghezza forse eccessiva e una sovrapposizione insistita di trame e sottotrame che appesantiscono e snaturano l’intera operazione.

dentro 1

Ossessionato dalla propria incapacità di ricordare le ultime parole pronunciate dal fratello Dash (Matt Ellis) poco prima di morire a seguito di un terribile incidente stradale, il modellista Sam Bloom (il superbo Peter Dinklage di Il trono di spade) viene a conoscenza degli studi messi in atto dal professor Gordon Dunn (Martin Donovan) presso l’azienda Cortex, riguardanti un dispositivo capace di videoregistrare qualunque ricordo sedimentato nella mente umana. Quando però lo scienziato viene trovato cadavere nel suo studio, Sam riesce a sottrarre il prezioso macchinario assieme a numerose memory cards contenenti i ricordi dei membri di un gruppo selezionato su cui il dottor Dunn stava compiendo strani esperimenti, utilizzando questi pochi frammenti mnemonici per tentare di ricostruire l’accaduto partendo dal misterioso Todd (il compianto Anton Yelchin). La tematica della videoregistrazione di brandelli di memoria appartenuti a un trapassato, i quali divengono fulcro di un oscuro e intricato complotto, costituiva già la meccanica narrativa alla base di The Final Cut, laddove, così come in Rememory, la detection perseguita dal protagonista si avvale di un processo “a puzzle” retroattivo con cui tentare di riconferire forma di fabula lineare a un intreccio apparentemente inestricabile.

dentro 2

Partendo dal faticoso tentativo non di cancellare – come in Se mi lasci ti cancello di Gondry – ma di riesumare e rivitalizzare un passato (apparentemente) solo rimosso e in realtà oggettivamente captato e stoccato, pronto a essere letto alla stregua dei file di un hard disk come nella filosofia cyberpunk di Johnny Mnemonic. Esattamente come il fotoreporter David Hemmings nel BlowUp di Antonioni – piuttosto che il montatore post mortem Robin Williams nella citata pellicola di Omar Naim –, anche il Sam di Rememory agisce con gli avanguardistici strumenti tecnologici a propria disposizione per tentare di scavare sempre più a fondo nel vissuto altrui, fino a disvelare la soluzione di un giallo a scatole cinesi. Purtroppo, però, i minuti avanzano inesorabili e il tessuto narrativo (così come l’attenzione del pubblico) si sfilaccia progressivamente nel solco dei troppi sentieri tracciati, facendo si che anche l’inaspettato (e a suo modo spiazzante) colpo di scena finale acquisti uno stucchevole retrogusto amarognolo.