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Quella villa accanto al cimitero

1981
Titolo Originale:
Quella villa accanto al cimitero
REGIA:
Lucio Fulci
CAST:
Katherine MacColl (Lucy Boyle)
Paolo Malco (Dottor Norman Boyle)
Ania Pieroni (Ann)

Il nostro giudizio

Quella villa accanto al cimitero è un film del 1981, diretto da Lucio Fulci

Con l’ultimo dei suoi grandi horror storicizzati, Lucio Fulci torna sulla Terra. Il percorso che da Zombi 2, film in cui il terrore è del tutto immanente alla carne e alla realtà, lo ha condotto attraverso una progressiva volatilizzazione della paura (Paura nella città dei morti viventi e “il lato metafisico degli incubi”), fino all’abbacinante, astratta purezza dell’idea stessa dell’orrore, il Nulla dell’Aldilà, con Quella villa accanto al cimitero non può che piegare nuovamente verso la materia. Ma portandosi dietro qualcosa da ciascuno dei regni esplorati. Di qui Freudstein, il mostro composito fatto con i pezzi degli esseri umani sventrati, lo zombi, l’orrore materico, bestiale e immanente. Di qui i fantasmi, le presenze sottili che – come Emily nell’Aldilà – vanno e vengono tra i due mondi, interagendo con i vivi ma senza ormai più condividerne la natura. Quella villa accanto al cimitero – Fulci lo riconosceva – è il film più inquietante e spaventoso del ciclo proprio per questo, a causa del convergere di paure basse, viscerali, ctonie – il mostro acquattato nel buio della cantina, pronto a ghermire e a fare male, tagliando, lacerando, compiendo impossibili operazioni chirurgiche – e di angosce mentali, rarefatte e impalpabili, come i fantasmi che alla fine sottraggono il bambino a Freudstein per condurlo con sé chissà dove.

Sul nome dell’orco, Freudstein (questo era anche il titolo con cui il film venne inizialmente annunciato), che sembra indossare una casacca da soldato nordista, col volto da insetto e il corpo farcito di pus e vermi, né più né meno come il prete maledetto di Paura nella città dei morti viventi, Stephen Thrower nel suo libro Beyond Terror parte per la tangente, tirando in ballo complesse costruzioni psicanalitiche ancora più terrificanti del plot di Dardano Sacchetti. Uno specimen? «Quali possibili connessioni esistono tra queste due figure (Freud e Frankenstein, che comporrebbero il nome del mostro, ndr)? Una è esistita realmente e ha indagato la verità attraverso i fantasmi dell’immaginario. L’ altra era inventata e divenne una delle metafore basilari della hybris senza Dio del ventesimo secolo. In qualche modo esse si rincorrono l’una con l’altra. Le teorie di Freud sul complesso di Edipo trasferiscono le relazioni tra padre e figlio in quelle tra mostro e avversario. Frankestein è il padre il cui desiderio di sostituirsi a Dio sfocia nella creazione di un mostruoso figlio…».

Il film – per venire al “tecnico” – ha un’apparenza più coesa dei precedenti, la logica narrativa è tenuta in minor spregio e la sintassi sorvegliata: tant’è che a differenza di Paura e L’aldilà per raccontare la trama si riescono ad usare più di due frasi. Fulci – lo dicevo – è tornato sulla Terra e anche il suo stile risente di una compostezza maggiore. Ma essendo Quella villa accanto al cimitero un film giocato sulle polarità, l’aspetto sanguinario e violento fa, per contro, registrare dei picchi inusitati: il corpo di Dagmar Lassander perforato dall’attizzatoio, il pipistrello abbarbicato alla mano di Paolo Malco e maciullato con essa, la decapitazione insostenibile della governante Ania Pieroni e la morte di Catherine MacColl trascinata giù per le scale. Abbondano gli effetti autoreferenziali, da quello di Giovanni Frezza che rischia di venire “accettato” dal padre attraverso la porta (Paura) fino alla gola squarciata di quest’ultimo che sprizza sangue al ralenti come Auretta Gay in Zombi 2.