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Psychopaths

2017
Titolo Originale:
Psychopaths
REGIA:
Mickey Keating
CAST:
Ashley Bell (Alice)
James Landry Hébert (lo Strangolatore Notturno)
Angela Trimbur (Blondie)

Il nostro giudizio

Psychopaths è un film del 2017, diretto da Mickey Keating.

Il termine “pazzia” non fa semplicemente rima con “regia” ma, spesse volte, è anche un prezioso aggettivo con il quale identificare certi soggetti poco raccomandabili in grado di creare autentiche meraviglie dietro a una macchina da presa. Tralasciando casi più o meno eclatanti opportunamente creati a tavolino (Rob Zombie docet), pochi sono quei cineasti che possono opportunemente fregiarsi di tale qualifica, e Mickey Keating è certamente uno di questi. Giovanissima meteora impazzita, miracolosamente precipitata nel bel mezzo del cinema pseudo-indie di genere 2.0, lo scapestrato stagista della Blumhouse, nonostante un curriculum di appena cinque opere, ci ha abituati sin da subito a un’estetica debordante, barocca, psichedelica e, per usare una brutta parola, decisamente sperimentale. E così, partendo dal folgorate esordio home invasion (motel invasion per essere più esatti) di Ritual (2013), passando attraverso la sci-fi paranoica di Pod (2015), l’inquietante psycho-thriller in bianco e nero di Darling (2015) e il recente sniper-western di Carnage Park (2016), eccoci giunti a Psychopaths, una pellicola che, tanto nel titolo quanto nella forma, può essere considerata a tutti gli effetti il precoce testamento poetico di un autore (si, è proprio il caso di scomodare Truffaut e compagnia cantante) da sempre capace di partorire autentici gioiellini per immagini, pur con un’operatività al confine dell’universo indipendente.

Diciamoci la verità: la storia non è mai stata il vero forte – e nemmeno la principale preoccupazione – del buon vecchio Keating. Psychopaths non fa certo eccezione, in quanto è possibile riassumerne il plot in poco meno di un paio di righe: nel corso di una sola notte, un pazzoide mascherato e un nugolo di soggetti altrettanto disturbati si rendono protagonisti di un’autentica mattanza in quel di Los Angeles. Punto. Tuttavia, volendo scavare più a fondo, ecco che il tutto si fa certamente più interessante, con lo spirito della pazzia di un serial killer da poco fritto sulla sedia elettrica (un Larry Fessenden a metà strada fra Charles Manson e il Jack Nicholson dei tempi d’oro) che sembra infestare i corpi e le menti malate di gente comune, tra cui Alice (un’inquietante e straordinaria Ashley Bell), fuggita da un ospedale psichiatrico e ossessionata dal cabaret anni ’50, uno strangolatore notturno (James Landry Hébert), una sadica adescatrice di uomini (Angela Trimbur in versione femme fatale/vedova nera) e un laido poliziotto non proprio rispettoso della legge (Jeremy Gardner totalmente fuori di testa). Storie di ordinaria follia, insomma!

È cosa buona e giusta chiarire fin da subito che Psychopaths non è un film; è, più che altro, un’esperienza visiva e atmosferica che va vissuta in maniera immersiva e totale, senza troppi problemi di coerenza narrativa né di (im)possibile interpretazione. Calcando la mano su di un impianto formale al limite dell’allucinatorio, che richiama i flashanti cromatismi ultrasaturi del cinema di Cattet e Forzani – la cui influenza va ben oltre la pura dimensione estetica – e dispiegando in tutto il suo splendore un montaggio sincopato fatto di split screen, ribaltamenti e sovraimpressioni che fanno il verso allo sperimentalismo “agée” di Kenneth Anger e Stan Brakhage, Keating imbastisce un qualcosa che è certamente più confezione che contenuto, frullando giocosamente e con spirito anarchico gran parte del glorioso cinema di genere anni ’70 e ’80, da Carpenter a Hooper passando per l’immancabile atmosfera filo-argentiana, scomodando con venerabile rispetto e sincero divertimento capisaldi come The Psychopath (1973), Halloween (1978), Nightmare (1984) e Profondo rosso (1975). A far da collante ai vari eventi che si susseguono senza apparente logica sullo schermo, una strana e melliflua voice-over trascina il racconto verso i cupi e piovosi terreni del noir, dando vita a un clima decisamente ipnotico e intrigante. E qui emerge la vera nota dolente. Se si dovesse tener conto della componente narrativa e drammaturgica, Psychopaths non potrebbe certamente raggiungere in alcun modo la sufficienza. Se, invece, si spostasse l’attenzione sull’impianto formale della messa in scena, allora ecco che il quinto lungometraggio di Keating potrebbe giungere a toccare perfino le vette di un piccolo capolavoro. Inutile specificare che, a modesto parere di chi scrive, in questo caso specifico, data la particolarissima natura dell’intera operazione, sarebbe opportuno prediligere la seconda istanza.