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Proud Mary

2018
Titolo Originale:
Proud Mary
REGIA:
Babak Najafi
CAST:
Taraji P. Henson (Mary)
Danny Glover (Benny)
Erik LaRay Harvey (Reggie)

Il nostro giudizio

Proud Mary è un film del 2018, diretto da Babak Najafi.

Black Power. Girl Power. Young Power. Tutti e tre i principali pilastri della contestazione socio-politica contemporanea opportunamente frullati assieme e infine coagulati all’interno di un gustosissimo action-thriller dalla solida corazza blaxploitation e dalle irriverenti atmosfere seventies. Che cosa si potrebbe mai volere di più oggigiorno? Grazie, grazie e ancora grazie di cuore all’iraniano Babak Najafi (Attacco al potere 2, mica cotica!) per averci provvidenzialmente regalato questa piccola sorpresa di Proud Mary, interessantissimo (e nostalgico) esperimento di contaminazione fra vecchi archetipi e nuove forme che, nonostante gli evidenti e numerosi difettucci, mostra pienamente la capacità di lasciarsi guardare e, perché no, anche godere un pochettino. Frutto di una discreta sceneggiatura, edita a quattro mani da John Stewart Newman e Christian Swegal, Proud Mary mette in scena la dura esistenza di una killer professionista afroamericana in latex e dalla pistola facile (una sensualissima, dolcissima, tostissima e incazzatissima Taraji P. Henson) la quale, dopo aver ucciso su commissione un allibratore inadempiente, si ritrova (non poi tanto) casualmente a soccorrere e accudire il di lui figlio Danny (Jahi Di’Allo Winston).

Nonostante un inizio non facile, il rapporto fra l’assassina dal cuore d’oro e il teppistello da strada si fa via via più solido e profondo, ma le cose iniziano a prendere una brutta piega dopo che una sanguinosa guerra fra la banda di Benny (Danny Glover) e quella di Luka (Rade Serbedzija) rischia di degenerare a causa di un omicidio non previsto, commesso, guarda caso, proprio dalla sexy e dolce Mary. Provate per un attimo a pensare a una versione Afro de Il Padrino (con tutta la mitologia d’à famigghia traslata nel Bronx più nero della pece) che incontra le suggestioni feticistiche della Jackie Brown tarantiniana (a sua volta già solleticata dall’immaginario pruriginoso di Russ Mayer), il tutto condito con una spolveratina da romanzo di formazione di periferia alla Scoprendo Forrester. Ok, la ratatouille non è proprio delle migliori e forse anche un po’ troppo grossolana, ma Pround Mary certo non sfigura dinnanzi a millanta e più titoli che già ci hanno narrato di killer redenti e affetti scaturiti dall’emarginazione sociale, per giunta facendo ben sfoggio di un diverso colore di pelle, divenuto nel tempo, proprio grazie a un certo tipo di cinema, emblema e bandiera della lotta per l’uguaglianza.

Va bene gente, non è certo una lezione di etica o di sociologia spicciola che il buon vecchio Najafi ci vuole impartire – lungi più che mai da un cineasta abituato a scaraventarci dinnanzi cazzotti e legnate senza esclusione di colpi –, ma sotto sotto, raschiata via la patina da grindhouse 2.0, la pellicola mostra un certo insolito equilibrio tra una confezione smaccatamente agée e un impianto narrativo ricchissimo di archetipi consolidati (e stereotipati!) ma ugualmente appetibili anche nell’epoca insidiosa del #MeToo. Un capolavoro no di certo, pellicola fondamentale men che meno, Proud Mary è quel che è: un sano piccolo divertissement fuori tempo massimo senza infamia né lode, onesto e godibile nonostante la propria connaturata imperfezione. E poi, diciamoci la verità: assistere alla crivellatura di una stupenda Maserati, trasformata in poco meno di cinque minuti nel Groviera di Topo Gigio, è uno spettacolo che nemmeno il miglior Fast and Furius potrebbe mai regalarci!