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La settima musa

2017
Titolo Originale:
Musa
REGIA:
Jaume Balagueró
CAST:
Elliot Cowan (Samuel Solomon)
Franka Potente (Susan)
Ana Ularu (Rachel) Joanne Whalley

Il nostro giudizio

La settima musa è un film del 2017, diretto da Jaume Balagueró

La settima Musa è un film da far tremare le vene ai polsi. Uno di quei quattro o cinque che valgono il fatto di avere vissuto in questi ultimi anni e di avere dovuto ingoiare quintalate di quella roba che serve a concimare i campi. La settima Musa è un film potente, intanto. E non solo perché tra i protagonisti c’è Franka Potente, quella che correva chiamandosi Lola, un tempo. La settima Musa è un film potente perché sommuove forze potenti, suscita, anzi, la forza forte di ogni forza di cui è parola nella Tavola di Smeraldo. Ve lo ricordate quell’incipit? In principio tre erano le Madri, come tre erano le Sorelle…? I film-enigma procedono sempre dai libri, hanno l’innesco in una pagina scritta e dichiarano fin dal principio questo loro debito di carta e di inchiostro. Una poetessa, a New York, trova un volume che le fa pensare di vivere in una casa costruita per una delle tre dee metamorfiche che governano il mondo. Per Samuel Solomon (Eliott Cowan) professore di letteratura (appunto) in Dublino, l’iter è un po’ più complesso, ma si dipana pur sempre dalla recitazione incipitaria della Divina Commedia di Dante. La quale, che cosa ci insegna, per dirla nella maniera più compendiosa possibile? “Che esiste l’inferno”. Una sua studentessa, bella come una dea – in effetti… – dopo avere fatto l’amore con lui, si fa promettere amore eterno. Poi va in bagno e si apre i polsi con una lametta. L’uomo non la salva, ed entra in una prostrazione che, un anno più tardi, esiterà in un incubo ricorrente, dove una sconosciuta viene uccisa all’interno di una vecchia dimora altrettanto ignota. Residui onirici della realtà? Rigurgiti di un inconscio che si sente colpevole? No…

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I sogni sono trappole: anche questo di Samuel. La donna viene davvero ammazzata nella grande casa, la cosa finisce in tv e lui va a vedere quel locus delicti che in qualche modo gli appartiene. E quando è là dentro incontra Rachel (Ana Ularu), che ha fatto lo stesso sogno, ha visto la stessa donna e la stessa morte. I sogni sono trappole, appunto. E sia l’uno sia l’altra avranno modo di accorgersene dopo che, all’interno di uno strano acquario nascosto nel solaio della casa, hanno rinvenuto una specie di uovo di Fabergé che reca incisi versi della Comoedia di Dante… Balaguerò, come già fece Argento nel suo film sommo, sposta la mitologia nella carne, dando spazio fisico e immagine consistente alle astrazioni filosofiche e letterarie. Il titolo originale spagnole, Muse, è formale nel dichiarare di chi stiamo parlando e di cosa, Samuel e Rachel, trovano, una volta sollevato quello che una volta si chiamava il velo di Maia. Là sotto vivono le strane deità che una volta si volevano in numero di nove, ma che sono, in realtà, sette e in ultima analisi sei, perché, una, la settima “si nasconde”. I film enigma, e anche questo bisogna ricordarlo, non hanno come scopo ultimo quello di fare quadrare i conti al centesimo. Lasciano margini di vuoto, di pensiero sospeso, di possibili o impossibili spiegazioni. Perché ride, Susy, quando esce dall’Accademia di danza? Perché la Morte si autodistrugge alla fine di Inferno? Non c’è la risposta. E anche La settima Musa  non fornisce tutte le soluzioni ultime e definitive. Ma è giusto e sacro(santo) che sia così.

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Non ho alcuna idea se nel romanzo al quale Balaguerò si è ispirato, La dama numero tredici, di José Carlos Somoza, l’intreccio sia più o meno complesso di ciò che è andato a finire sullo schermo e se l’incredibile soluzione fosse già nella fonte tanto disperata e crudele. Ma il film del regista di [Rec] ha un pathos che soltanto opere di scala superiore possiedono; e il fatto che abbiamo sentito la necessità di spendere il nome del solo Argento uranio e astratto di Suspiria e Inferno dovrebbe forse dire che il livello su cui ci si muove non è certamente quello consueto, routinario e andante dell’horror. Anche se la necessità di macabro e di sangue viene ampiamente soddisfatta dall’azione delle potenze mitologiche che usano la poesia come la celebre lancia di Achille, che possedeva al contempo la facoltà di squarciare e di medicare. Gli attori sono ottimi, sia Cowan, sia Ana Ularu, rumena classe 1985, che ha l’ingrato ruolo di colei che indaga su se stessa e apparecchia, in vista di un bene superiore, la propria fine, sia Franka Potente che dovrà scoprire suo malgrado l’energia devastante del verso di William Blake: O Rose, thou art sick! Cinque stelle e, se fosse possibile, anche sei…