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Milano in the Cage

2016
Titolo Originale:
Milano in the Cage
REGIA:
Fabio Bastianello
CAST:
Alberto Lato (Al) Claudio Alberton
Antonio Cagnazzo (Tony)
Alex Celotto

Il nostro giudizio

Milano in the Cage è un film del 2016, diretto da Fabio Bastianello

Se volessimo dare un’idea di Milano in the Cage (2017) potremmo definirlo come “Una docu-fiction dove Rocky incontra Gomorra”. L’opera dell’indipendente Fabio Bastianello è un curioso esperimento che sta a metà fra il noir e il film sportivo, e soprattutto tra finzione e realtà. L’idea geniale è, anzitutto, quella di far interpretare la storia – ispirata a fatti reali – a colui che l’ha vissuta veramente, cioè Alberto Lato, bodyguard e combattente di MMA (Martial Mixed Arts). “Al” in un certo senso recita la propria esistenza, anche se rivisitata dal cinema: vita difficile, famiglia distrutta, si barcamena come buttafuori e scagnozzo della malavita, fino a quando il combattimento “Milano in the Cage” gli offre una possibilità di rifarsi. Il noir si conferma essere il genere in cui l’Italia sforna i suoi prodotti più riusciti o quantomeno degni di nota: come in un cinéma-verité, ci troviamo immersi senza mediazioni in una Milano notturna, violenta e underground, una città segreta fatta di piccola delinquenza, spaccio, prostituzione, combattimenti, opposta alla “Milano da bere” che siamo abituati a conoscere.

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Bastianello non è nuovo a sperimentazioni – ricordiamo Secondo tempo, un noir sul fenomeno ultrà girato in un unico piano-sequenza di 105’ – e qui prosegue la sua rivisitazione del genere. I personaggi sono affidati ad attori non professionisti per restituire un’idea di cruda realtà, quasi un neorealismo (con le dovute distanze). Esperimenti simili sono ricorrenti nel cinema italiano, dal magistrale Amore tossico di Claudio Caligari ai più recenti Sbirri di Roberto Burchielli e La grande rabbia di Claudio Fragasso. Se come impatto realistico funziona, il ritmo e le interpretazioni sono invece altalenanti: spesso il non-professionismo degli attori si fa sentire, non tanto nella fisicità (i ruoli sono azzeccati) quanto nella recitazione – far convivere fiction e realtà non è mai semplice; la vicenda, spalmata su quasi due ore, ha inevitabilmente dei cali, ma la regia è empatica e fa percepire a pelle il disagio di Al e dei co-protagonisti, in particolare l’ex-moglie e l’amico tossico.

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Ottima la coreografia di risse e pestaggi, che preparano il piatto forte di Milano in the Cage: gli ultimi venti minuti sono dedicati interamente al combattimento sul ring di MMA (svoltosi realmente) fra Al e il suo sfidante Roberto. Alberto – fisico possente e tatuato – è un novello Rocky Balboa, un uomo di strada che combatte per una redenzione quasi impossibile, cerca una via per emergere dalla sua vita borderline. Discreta la fotografia, perlopiù notturna, nelle strade e nei sobborghi milanesi, uso frequente della camera a mano e cura certosina nella colonna sonora, ricca di brani hip-hop e rock tipici della sub-cultura narrata. Cammeo del cantante Omar Pedrini nei panni di un barbone-filosofo.