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Memoir of a Murderer

2017
Titolo Originale:
Salinjaui Gieokbeob
REGIA:
Won Shin-yeon
CAST:
Sol Kyung-gu (Byung-su)
Kim Nam-gil (Tae-ju)
Kim Seol-hyun (Eun-hee)

Il nostro giudizio

Memoir of a Murderer è un film del 2017, diretto da Won Shin-yeon 

Se leggendo il titolo di questo articolo avete provato una strisciante sensazione di déjà vu, tranquillizzatevi, è del tutto normale. In effetti, le analogie (di carattere non solo nominale) che legano a filo doppio l’ormai celeberrimo Memories of Murder – capolavoro assoluto di Bong Joon-ho e pellicola fra le più sconvolgenti d’inizio anni Duemila – a questo nuovo Memoir of a Murderer sono davvero molte. Le due opere, infatti, non solo condividono le medesime coordinate geografiche (la Corea del Sud) e di genere (il thriller investigativo con profondi risvolti psicologici), ma affondano entrambi le proprie radici in un humus estetico-culturale rigogliosamente germogliato all’ombra di una cinematografia fra le più agguerrite e tecnicamente avanzate del panorama contemporaneo, capace di far tremare i polsi ai maggiori colossi del video entertainment a stelle e strisce.

Diretto con impeccabile e misurata competenza da Won Shin-yeon – ottimo e scafato mestierante esperto nella trattazione dei diversi generi, dall’action (The Suspect) all’horror puro (Gabal), passando per il thriller-crime (Seven Days) e il dramma (A Bloody Aria) –, Memoir of a Murderer trae origine da una sinuosa e misurata sceneggiatura scritta a quattro mani da  Hwang Jo-yun Kim Young-ha (tratta a sua volta dal bestseller A Murderer’s Guide to Memorization, scritto da quest’ultimo), incentrata sulla vicenda di Byung-su (Sol Kyung-gu), veterinario coreano affetto da una precoce forma di Alzheimer con un passato da serial killer dedito all’uccisione punitiva di persone ritenute cattive o inutili alla società. Sospesa la propria “attività” da oltre diciassette anni con l’intento di dedicarsi alle cure dell’amorevole figlia Eun-hee (Kim Seol-hyun), l’uomo tiene un diario elettronico nel quale annota ogni evento accadutogli, in modo da evitare che la malattia lo trascini in un oscuro e assoluto oblio. Tuttavia, il fortuito incontro con Tae-ju (Kim Nam-gil), losco agente di polizia, forse responsabile di una nuova ondata di omicidi seriali, getterà Byung-su in un vortice di paura e disorientamento, senza la possibilità di poter contare sulla propria lucidità mentale.

Memoir of a Murderer è ammantato, in sottotraccia, dalla pesante eredità mitologico-iconografica del famoso (e ancor oggi misterioso) killer di Hwaseong, un autentico Zodiac coreano, attivo dal 1986 al 1991, già alla base del summenzionato masterpiece di Bong Joon-ho e del derivativo Confession of a Murder di Jung Byung-gil. Il film di Won Shin-yeon sposta, però, il punto di vista su di una focalizzazione interna e integrale con l’esecutore dei delitti, qui presentato come un mite e amorevole uomo tranquillo della porta accanto improvvisatosi, a suo tempo, un Dexter dagli occhi a mandorla, la cui eredità (soprav)vive soltanto all’interno di pagine Word in cui gli ultimi depositi di una mente ormai difettosa e distorta trovano la propria definitiva collocazione virtuale. Quando l’ormai ex giustiziere si trova faccia a faccia con un potenziale copycat, per giunta in divisa e distintivo, ecco che la vicenda si fa ancora più interessante, gettando in mezzo alla mischia la sempre attuale questione del rapporto tra autorità e potere, già ottimamente posta in essere dall’Elio Petri di Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto. Ricorrendo al suggestivo meccanismo d’identificazione mimetica con un narratore ingannevole e dalla psiche alterata, sul modello di Memento e Fight Club – senza riutilizzare strategicamente la complessità del montaggio retrogrado dell’opera di Nolan, a sua volta mutuata dal cinema narrativamente “esploso” di Nicholas Roeg –, Memoir of a Murderer mantiene sempre ben alti la guardia e il ritmo, concedendosi di tanto in tanto gustose citazioni di qualità (la strategia del crimine perfetto dell’ hitchockiano Delitto per delitto) e impiegando una messa in scena formalmente ineccepibile e carica di suggestioni. Non vi è alcun dubbio che, rischiando qualcosa di più, si sarebbe certamente potuto sfiorare (se non anche ipoteticamente raggiungere) la vetta del capolavoro.