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Maze Runner – La fuga

2015
Titolo Originale:
Maze Runner: The Scorch Trials
REGIA:
Wes Ball
CAST:
Dylan O'Brien (Thomas)
Kaya Scodelario (Teresa)
Thomas Brodie-Sangster (Newt)

Il nostro giudizio

Maze Runner – La fuga è un film del 2015, diretto da Wes Ball

Dal labirinto alla prigione chiusa di cemento, portoni, grandi refettori, laboratori off limits. E fine del mistero, della storia sospesa, di tutto il fascino che aveva adornato il primo capitolo della saga, che non riesce per nulla a rinnovarsi e rilanciarsi in questa “fuga”. Anzi, in Maze Runner – La fuga non corre più nessuno, nemmeno Thomas, se è vero che la corsa verso l’ignoto è sempre foriera di speranza e paura, insomma di vita. Invece, qui tutti corrono semplicemente su un segmento predeterminato, da un punto A ad un punto B, scontato, prevedibile, che vuole solo trascinare il pubblico da episodio uno a episodio tre. Quello più volte rimandato per incidenti vari e che attendiamo per il febbraio 2018. E che “Ball” verrebbe da dire. Stavolta non ci siamo per niente. La coperta di violenza accesa, accelerata, tirata a forza su quasi tutte le scene non basta a coprire le pesanti lacune del plot; gli zombie e il ritmo da videogame non servono più da collegamento per le sinapsi dei millenials, sono solo affreschi barocchi e arzigogoli d’effetto su un corpo di cera, inespressivo. Stavolta Thomas e compari sono salvati e protetti dal mondo esterno da Wicked in una bigia stazione, dove gli viene assicurato un letto comodo e un pasto caldo, ma non devono chiedere, non devono agire, in definitiva è meglio non pensino troppo. Solo aspettare il proprio turno per essere mandati in un luogo ideale, migliore, verde e fiorito o come meglio l’immaginazione di ognuno può pensare il proprio personale paradiso.

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Perché di questo si tratta, di trapasso: i prescelti giornalieri passano in laboratorio appesi ai ganci, mentre li svuotano del loro prezioso sangue immune. La disperata ricerca di una cura, un antidoto, al terribile morbo che rende inumani, deve avere la precedenza su tutto. L’interesse collettivo che prevale sempre e comunque su quello individuale, nella certezza che il nostro posto nel mondo è definito dall’evoluzione in quanto specie, piuttosto che come individui. Un tema che sarebbe interessante porre al centro, farne espediente narrativo e svilupparlo come un nuovo interrogativo escatologico, ma che Ball si guarda bene da approfondire. Un’altra chance persa di Maze Runner – La fuga. Thomas, il pioniere, il leader, rifiuta lo stato di prigionia, non tanto fisica, ma mentale. L’aporia del pensiero chiuso, più che la claustrofobia del cemento e organizza il solito gruppetto per cercare la fuga e raggiungere il fantomatico “Braccio Destro”. Drappello di ribelli, asserragliati sui monti, che si oppongono alla tirannia di Wicked. Fra peripezie varie, il solito deserto che tanto fa post-apocalittico, i personaggi maieutici come Jorge e la compagna Brenda, che novelli Virgilio, accompagnano e indirizzano il protagonista nel suo passaggio dal purgatorio alla cornice successiva, i nostri eroi riusciranno finalmente a raggiungere la comunità protetta e sfiorare la speranza di poter ancora costruire un mondo migliore; forse infetto o imperfetto, ma libero.

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La coltellata più tremenda verrà, come spesso accade, da chi ti è più caro. Ma, almeno questo, lasciamolo nell’alveo del mistero (pochino) del film e a poco vale l’hung up finale che prova a lanciarci verso il terzo e ultimo capitolo. Insomma, è una nota tradizione che nelle trilogie i capitoli mediani siano spesso i più deboli, eppure ci sono delle felici eccezioni, come “L’impero colpisce ancora” di lucasiana memoria, che riescono a ritagliarsi un ruolo e una drammaticità tutta propria, quasi sempre lavorando sulla storia dall’interno, approfondendo i personaggi, infittendo le sottotrame e non per forza ammiccando a forza di colpi di scena ed effetti speciali. Un’occasione che Maze Runner – La fuga e il suo regista stavolta hanno irrimediabilmente perso.