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Maze Runner – Il Labirinto

2014
Titolo Originale:
The Maze Runner
REGIA:
Wes Ball
CAST:
Dylan O'Brien (Thomas)
Kaya Scodelario (Teresa)
Thomas Brodie-Sangster (Newt)

Il nostro giudizio

Maze Runner – Il Labirinto è un film del 2014, diretto da Wes Ball

Un risveglio improvviso in uno sferragliante ascensore che sale. Prima scena di Maze Runner – Il Labirinto. Quando l’aggeggio si ferma, il giovane protagonista, Thomas, si ritrova in una radura circondata da alti muri di cemento e tanti coetanei attorno che si sono organizzati come una piccola società, dominata, però, dalla paura. Di quello che c’è oltre quelle pareti, ovvero il labirinto; complesso artificio che cambia conformazione ogni notte e popolato dai dolenti, dei mega-ragni metà macchine che scoraggiano i tentativi di fuga e iniettano ai malcapitati un malefico siero che li trasforma in aggressivi simil-zombi. Gli eletti sono i “velocisti”, ovvero i soli che si possono avventurare nel labirinto di giorno per cercare una via di fuga collettiva, ma devono fare pronto ritorno entro il tramonto, perché nessuno sopravvive nella struttura al calar del crepuscolo. In anni di scorribande sono riusciti a tracciare una mappa e un plastico fedele delle varie sezioni del trappolone, ma manca la chiave per superare le ultime porte. Sarà il coraggio naturalmente del nuovo, predestinato, arrivato e dell’ultimo sbarco dall’ascensore, la prima ragazza mai vista nella radura, a guidare la fuga finale. Ma oltre l’ultima porta… la realtà non è quella che sembra.

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Molte e comprensibili sono state le critiche a caldo all’uscita dell’opera prima di Wes Ball, ex giovane mago degli effetti speciali, più o meno tutte centrate sul fatto che la pellicola sia un gran minestrone di pezzi strappati ad altre opere del grande schermo. Una citazione infinita, seppur ben articolata, che spazia dalla distopia classica alla Zardoz, ma si centra sulle paure di un The Village. La comunità autoctona e chiusa, il terrore dell’oltre, del confine, che solo le giovani menti e i giovani corpi possono e devono sfidare, tutto ricoperto con una spessa glassa fatta di ritmi e quadri da videogame e Resident Evil. E invece crediamo che proprio qui caschi l’asino, anzi lui e tutti i suoi compari sopra i quaranta, compreso il sottoscritto. Perché Maze Runner  – Il Labirinto è un prodotto commerciale in celluloide fatto da giovani per altri young adults. Si ispira a un bel romanzo di James Dashner (Il Labirinto – 2009), ma è un film molto sceneggiato e ben trasposto, che scrive ottimamente la realtà per immagini. Cita spesso, ma è il sintomo della cultura cinematografica del suo regista e basta, perché non tratta della Fuga di Logan, ma di quella di Thomas; perché ci sono i mostri metà macchine e metà animali, ma non si parla di post-umano, non ci sono i cyberpunk e nemmeno il punk inteso come musica, se è per questo, visto che il film si può permettere perfino di non avere una colonna sonora di gran spessore. Dunque i suoi imberbi spettatori non hanno cognizione dei rimandi diretti o indiretti che siano.

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Manuale degli adattamenti, pagina uno, per un pubblico che non riconosca la citazione, l’omaggio, la parodia, l’opera esperita è opera originale. E Maze Runner – Il Labirinto non vuole essere un prodotto nostalgico, non è la fine di qualcosa, ma l’inizio. Quello di una serie, come detta il nuovo imperativo delle produzioni del grande schermo, che mai è stato così somigliante al piccolo. Operazione riuscitissima, allora, e se si tratta di un gioco con i corridori nel mezzo, siamo più in linea con Hunger Games che con Blade Runner. C’è la patina di polvere, il deserto finale, il mondo post-apocalittico? Tanto meglio, ai nuovi giovani fruitori del cinema le cose troppo perfette, preconfezionate e propinate a forza non piacciono per niente, non si fidano del nuovo; guardano le serie, ma non sono couch-potatoes. Quelli, casomai, siamo noi e non ci farà male alzare il sedere e andare a vedere al cinema film come Maze Runner, i suoi sicuramente tanti sequel ed epigoni. Mal che vada, quando appare la sabbia, potremo sempre tirare fuori la foto spiegazzata di Mel Gibson e mostrarla al nostro diciottenne vicino di poltrona. Che ci guarderà stranito e penserà che abbiamo perso un parente “patriota” in guerra.