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L’uomo che uccise Don Chisciotte

2018
Titolo Originale:
The Man Who Killed Don Quixote
REGIA:
Terry Gilliam
CAST:
Adam Driver (Toby Grisoni)
Jonathan Pryce (Javier "Don Chisciotte")
Joana Ribeiro (Angelica)

Il nostro giudizio

L’uomo che uccise Don Chisciotte è un film del 2018, diretto da Terry Gilliam.

Ci sono voluti 25 anni, di cui vi è traccia nel prezioso documentario Lost in La Mancha del 2001, perché Terry Gilliam realizzasse finalmente il suo progetto del cuore e ora che il film è in uscita ci si chiede se tutto ciò che ha una genesi lunga e tortuosa dia sempre risultati positivi. Il progetto sembrava maledetto e, come lo stesso Gilliam ha raccontato alla prima tedesca del FILMFESTMÜNCHEN 2018 dove ha anche ricevuto il premio alla carriera Cinemerit Award, alla fine ci è riuscito e molto probabilmente la sua tenacia non è stata vana. E così L’uomo che uccise Don Chisciotte inizia con la nota: “E ora, dopo 25 anni di fare e disfare.” Tuttavia, rimane la domanda se il film sia anche l’opus magnum che dovrebbe essere, le aspettative da ogni parte sono grandiose dopo una tale odissea, ma il risultato finale è un trionfo che può essere apprezzato solo dai fan del regista e delle sue atmosfere oniriche e sempre al limite tra delirio e realtà. Toby (Adam Driver, in un ruolo precedentemente pensato per e accettato da Johnny Depp prima e da Ewan McGregor poi) è in Spagna e sta per girare uno spot pubblicitario per una vodka, in cui compare Don Chisciotte. L’incontro con un gitano che vende dvd pirata di film ambientati in Spagna gli fa ritrovare la copia di un’opera giovanile girata in un paesino poco distante e avente lo stesso tema. Con quel lavoro aveva creato numerose aspettative negli abitanti e non tutte erano andate a buon fine. Il giorno dopo Toby lascia il set, perché da egocentrico narcisista a lui non frega niente del lavoro degli altri, e si reca nel remoto villaggio dove ha girato il suo film per studenti 10 anni fa: vuole vedere cosa ne è stato dei protagonisti. Ma apprende solo cose terribili. La sua allora Dulcinea, appena 15enne Angelica (Joana Ribeiro), è stata rinnegata da suo padre per essere una “prostituta” che voleva lanciarsi in una carriera di attrice a Madrid.  E il suo Don Chisciotte, Javier (Jonathan Pryce, già protagonista di Brazil), è impazzito e pensa ancora di essere davvero Don Chisciotte. Quando Toby va a fargli visita, Javier lo riconosce nel suo Sancho Panza.

E per di più Toby presto è in fuga – o in cerca di avventure, come lo vede Javier/Don Chisciotte, per essersi cacciato ben presto in diversi guai. Inizia così un girotondo in cui i confini tra realtà e fantasia si spostano così lontano da non poter più dire cosa sta realmente accadendo, e come in Brazil o L’esercito delle 12 scimmie, diventa subito un film di Terry Gilliam in tutto e per tutto. Le fluenti immersioni nella fantasia gli sono sempre servite per divertirsi, ma anche per fare dichiarazioni su un meta -livello. E anche L’uomo che uccise Don Chisciotte è del tutto meta, e il regista sembra voler esprimere attraverso le vicissitudini del suo protagonista il suo essere un po’ sognatore e un po’ visionario proprio come il suo Don. Ma la genesi lunga e tortuosa dell’opera, con così tanto tempo impiegato e il lavoro così spesso influenzato da tanti cambiamenti, grava sul film come un’ombra che fa talvolta dubitare lo spettatore se il film sia cosi delirante e inafferrabile in quanto rispondente alla poetica del regista, o se invece risenta negativamente della sua realizzazione “a strati.” Adam Driver e Jonathan Pryce inciampano da un set all’altro, un episodio assurdo insegue l’altro, ma il tutto non porta da nessuna parte se non alla trionfale rappresentazione dell’inclinazione di Gilliam per il pittoresco, che ha realizzato in modo così formidabile anche nei suoi lavori precedenti. Qui set e fotocamera si adattano al dramma che, per quanto Driver e Pryce si sforzino, tende costantemente a sfociare nel teatro amatoriale. I due si urlano costantemente l’un l’altro, Pryces /Don Chisciotte è sempre agitato e deve citare ripetutamente i passaggi, Driver è dannatamente reazionario e entrambi provano a far ridere, ripescando con successo il vecchio umorismo alla Monty Python, che accende scintille di puro sarcasmo. Ma il piano ironico più sottile è quello di giocare, in modo anche non leggero, con il razzismo e la misoginia, in un modo che solo chi non conosce le tematiche del regista potrebbe fraintendere.

Gilliam mette in scena i russi, gli zingari, i neri, i musulmani e gli ebrei indicando esattamente come gli stereotipi razzisti dei gruppi si perpetuano senza nemmeno batter ciglio una sola volta. La “zingara” ruba in modo naturale e non deve ricevere fiducia, i musulmani sono o terroristi o illegali, e compaiono solo in abiti etnici, il russo ha una quantità incredibile di denaro ed è comunque un maiale. I personaggi femminili in L’uomo che uccise Don Chisciotte sono donne con gli occhioni, sempre appendici degli uomini, mai le protagoniste. Anche in questo c’è una strizzata d’occhio ironica da prendere però davvero con le pinze nell’era #MeToo. Tra i personaggi femminili più rappresentativi in questo senso, un’ assistente di set che va a letto con Toby, la classica moglie trofeo che non ha nulla da dire e che poi appare come una ninfomane; e poi c’è Angelica, con la quale Toby flirta spudoratamente, anche se ha solo 15 anni. Per questo personaggio Gilliam ha inventato qualcosa di speciale: deve essere punita per avere avuto delle ambizioni artistiche. Così è costantemente accusata di essere una puttana, ed è anche coperta di lividi che Toby nota senza chiederle nemmeno se tutto è a posto. Visto che è solo una prostituta dichiara che l’abuso va bene, perché è così che succede quando sei con un uomo. E’ facile riconoscere nella figura di Don Chisciotte un Gilliam così pazzo ma anche così necessariamente lucido da essere un eroe pronto a riconoscersi anche nel cinico Toby. Si può sopravvivere in un mondo popolato da sadici detentori di denaro e possibili finanziatori che sottomettono le Angeliche al loro esclusivo dominio, pressati da vicino da produttori altrettanto gelosi delle loro ‘proprietà’ femminili? Pensare a Weinstein & co. non è difficile in un film in cui, in un continuo intreccio tra presente e memoria del passato, ci si chiede cosa ne sia stato dei sogni di gioventù.