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L’Orco

1996
Titolo Originale:
Der Unhold
REGIA:
Volker Schlöndorff
CAST:
John Malkovich (Abel Tiffauges)
Armin Mueller-Stahl (Graf von Kaltenborn)
Gottfried John (Walter Frevert)

Il nostro giudizio

L’orco è un film del 1996, diretto da Volker Schlöndorff

Fra le opere del regista tedesco Volker Schlöndorff, autore di pellicole come Il tamburo di latta o Morte di un commesso viaggiatore, ne abbiamo una messa da parte in una zona d’ombra: L’Orco. Il film è del 1996 è ha l’ambizione – non la pretesa, badate bene! –  di trasporre sullo schermo la monumentale opera di Michel Tournier, uno degli autori più eclettici e interessanti del Novecento letterario francese, Il Re degli Ontani. L’opera, dal sapore magico e fiabesco, racconta la vita di Abel Tiffauges fin dagli anni del collegio parigino di Saint Christophe dove è un bambino timido e maltrattato da tutti tranne che da Nestor, suo unico vero amico. Un giorno, dopo l’ennesima punizione, Abel prega il Santo protettore della scuola che butti giù il collegio “fin dalle fondamenta”. Per una serie di situazioni il desiderio viene esaudito e la tragedia avviene: nell’incendio Abel si salva ma Nestor rimane ucciso. Quel giorno Abel si rende conto che il “destino era reale, che era crudele e stava dalla sua parte”. Ritroviamo il protagonista ormai adulto, meccanico in un’autofficina con l’hobby della fotografia. Fa la conoscenza di una bambina con la quale diventa amico e le scatta qualche foto. Per capriccio, un brutto giorno, Martine, questo il nome della bambinetta, accusa ingiustamente Abel di violenza. L’uomo viene arrestato e tradotto in carcere, tuttavia la guerra contro i tedeschi è alle porte: la condanna viene archiviata ma Abel è costretto al fronte “per espiare le sue colpe”. Qui viene fatto prigioniero dai tedeschi i quali, notando la sua abilità di saper “comunicare” con gli animali, lo fanno assistente di caccia del feldmaresciallo Göring. Alla fine diventerà “l’orco” della foresta, procacciando giovani vittime da immolare sul triste altare della gioventù hitleriana.

Chi non conosce il film o l’opera di Tournier, sarebbe propenso a credere che Abel sia un personaggio fortemente negativo e malvagio: niente di più sbagliato. Abel percorre tutta la parabola della guerra con l’incoscienza dell’idiota, un uomo cresciuto nel corpo e non nell’anima; è egli stesso un bambino, ed è buono tanto da non capacitarsi quando viene accusato a torto di molestie. Un “bambino” che non smette di meravigliarsi anche quando a fianco di Göring pensa con l’ingenuità propria di tutti gli infanti: «Sto ancora vivendo nel mondo normale o sono capitato in una fiaba, con creature fatate, giganti e bestie feroci?!». Nei panni di Abel troviamo uno splendido John Malkovich e poi un intero cast misto, volti poco noti, a parte qualcuno come Gottfried John, del panorama filmico francese e tedesco. Il film venne girato tutto tra Francia, Polonia e Norvegia e i panorami e le scenografie sono mozzafiato. Le musiche del Maestro Michael Nyman sono talmente delicate e in simbiosi con le scene da far sì che lo spettatore non si accorga dell’effettiva presenza di una colonna sonora di sottofondo. L’Orco concorse alla 53esima Mostra del Cinema di Venezia non soddisfacendo per nulla le aspettative e il film fu un fiasco a livello mondiale. In Italia uscì a marzo del ’97. Venne anzitutto criticata la scelta degli attori, primo fra tutti il protagonista: “Se scegli Malkovich è evidente che stai facendo un film per il Mercato e non per la storia del Cinema!”.

Poco convincente per i critici è anche la scelta della lingua inglese: il protagonista è francese, i personaggi di contorno quasi tutti tedeschi e alla fine arrivano anche i russi e tutti parlano inglese. È vero, potrebbe risultare inverosimile tutto questo, ma perché non credere più agli eventi che vediamo che a ciò che sentiamo? In questo caso la lingua diventa solo un fatto di convenzione e nient’altro. Non c’è motivo di non credere alla storia semplicemente perché quello che stiamo vedendo è, poi, solo un film. Il regista, intelligentemente, rispose a tutto ciò dichiarando che Abel è un personaggio letterario e quindi universale e poi, «quando gli attori tedeschi si sono doppiati nella loro lingua sono stati male: un conto è dire certe frasi in inglese un altro è sentirle dire in tedesco, riaprendo ferite ancora non rimarginate». È  possibile che L’Orco non sia piaciuto per motivi di fondo e dichiarazioni quantomeno scomode: Schlöndorff ha toccato un tema ancora scottante per noi europei, il fantasma del collaborazionismo francese e il fascino ammaliante e sinistro che il Nazismo ancora a tutt’oggi esercita sulle anime semplici.

A questo si aggiunga che l’opera di Tournier Il Re degli Ontani prende il titolo, erroneamente tradotto nel corso dei secoli, da una ballata tedesca di Goethe Erlkönig (il Re degli Elfi): racconta di un padre che cavalca di notte portando tra le braccia il figlioletto malato, a un tratto nel bosco i due incontrano il Re degli Elfi il quale chiede al piccolino se vuole andare a giocare con lui. Dopo vari seducenti tentativi il Re si prende prepotentemente lo spirito del bambino e al padre non rimane che il corpo senza vita del piccolo. Il Nazismo, ci comunica Schlöndorff, ha fatto più o meno la stessa cosa, esagerando il sogno di onnipotenza di un popolo di bambini e ingannandolo con le sue lusinghe. L’Orco rimane una puntuale e poetica riflessione sul totalitarismo, la bestia nera della Germania: «È troppo facile per noi tedeschi commuoverci con Schindler’s list e identificarci con le vittime, tutto ciò serve a dimenticare che noi eravamo i carnefici!». A tutt’oggi, in Italia e in molti altri Paesi, L’Orco non ha purtroppo un’edizione su supporto digitale. Un piccolo grande film che merita di essere ri-scoperto e sicuramente ri-valutato come del resto lo meriterebbe ‘Il Re degli Ontani’ di Michel Tournier, un’opera che non basta una vita per capirne il peso.