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La donna a una dimensione

1969
Titolo Originale:
La donna a una dimensione
REGIA:
Bruno Baratti
CAST:
Annamaria Caldarelli
Antonietta Fiorito
Rate Furlan

Il nostro giudizio

La donna a una dimensione è un film del 1969, diretto da Bruno Baratti.

L’allusione del titolo non potrebbe essere più diretta. L’uomo a una dimensione di Marcuse viene pubblicato cinque anni prima ma è nel ‘68 e dintorni che in Italia ottiene la massima eco, fungendo da testo tutelare del movimento studentesco. Bruno Baratti, già sceneggiatore per Puccini, Salce, Mattoli, e di cui questa è l’unica regia, agisce su due livelli simbolici: il primo, più evidente, è la sovversione dell’ordine sociale all’interno di una famiglia alto-borghese con marito industriale, moglie insoddisfatta e figli viziati; il secondo è mettere la donna come primum movens della rivoluzione, casalinga in primo luogo, disegnando un personaggio alla ricerca di una liberazione soprattutto sessuale e di costumi, mentre l’uomo è una figura senza identità, presente nel film solo mediante due soggettive, in apertura e in chiusura. La scelta come protagonista di Françoise Prevost rimanda al suo ruolo dell’anno prima in Brucia ragazzo brucia di di Leo, aumentando la sensazione che il film di Baratti sia soprattutto un tipico esempio di erotico-intellettuale a uso e consumo di una fascia di pubblico ormai smaliziata di fronte a temi che stavano lentamente perdendo ogni aura di scabrosità.

Un’opera mainstream, diciamo così, tanto più che i tratti violentemente contestatari, come il riferimento alla lotta armata, sono poco più che parentesi e non hanno la sfrontatezza di altre opere coeve (e, viste oggi, anticipatrici del dilagare del fenomeno negli anni ‘70) come Il gatto selvaggio di Frezza o Cuore di mamma di Samperi, quest’ultimo avvicinabile a La donna a una dimensione per il personaggio di Carla Gravina, madre alienata e attentatrice alla fabbrica del marito. Nel film, il punto di vista sulla contestazione è, con effetto che oggi appare snobistico, comunque interno alla borghesia, e da lì non si sposta. Quando Prando (Massimo Farinelli) e Afdera (Gabriella Grimaldi, in pratica la sosia italiana di Ewa Aulin) ritornano da un esclusivo college estero alla ricca dimora di famiglia trovano tutto cambiato: le stanze sono tappezzate di poster di Mao e Ho Chi Minh, la servitù si rifiuta di servire e anzi li comanda a bacchetta, Paola, la madre, si fa chiamare per nome e non ha pudori nel mostrarsi nuda di fronte a loro. Superate le iniziali titubanze, i ragazzi cominciano a collaborare fino al punto di essere coinvolti nell’attentato ad una fabbrica: ma non andranno fino in fondo e, dopo aver stabilito un rapporto semi-incestuoso, emargineranno sempre più la madre fino al suo (finto?) suicidio.

Privo di sottigliezze e fin troppo letterale nel rovesciare la realtà, La donna a una dimensione di Baratti è niente più che un gioco (in questo, almeno, ha uno spirito involontariamente marcusiano) di scambio delle parti e spesso dai toni sopra le righe come dimostrano le istrioniche apparizioni di Isa Miranda (la ricca parente) e, da uno schermo televisivo, Lando Buzzanca nella parte di se stesso. Restano nella memoria il montaggio a tratti convulso di Roberto Perpignani, il mood cupo delle note di Riz Ortolani e la fotografia pop di Carlo Montuori.