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La casa delle mele mature

1971
Titolo Originale:
La casa delle mele mature
REGIA:
Pino Tosini
CAST:
Erika Blanc
Marcella Michelangeli
Gérard Landry

Il nostro giudizio

La casa delle mele mature è un film del 1971, diretto da Pino Tosini.

«Quando la tua mente vacillerà davanti a un filo d’erba, una zampina di formica ti salverà» recita una voce fuori campo all’inizio di questo curiosissimo film-fantasma sul tema della pazzia, presentato da Elo Panacciò per la Universalia Vision; ovvero un pornografico d’ambientazione manicomiale firmato da Pino Tosini, il quale agli albori della sua alterna carriera tentava una strada personale di giovane autore. Gli intenti ideologici che lo sottendono non sono del tutto chiari, vista l’irrecuperabilità dell’edizione originale e la sola possibilità di vederlo in una video olandese filologicamente spuria. Il fluire ostico, diseguale della pellicola mostra infatti alcune lacune strutturali e diverse sequenze spezzate, fotograficamente diverse (là soprattutto dove la visione anatomica degli amplessi saffici o etero rende ambiguo riconoscere i protagonisti), che potrebbero essere state “caricate” appunto per la circolazione estera. É comunque un film dove l’intonazione drammaturgica algida e austera sembra ubbidire più a un canone da Nuovo cinema tedesco, nel modo in cui parla del manicomio-lager, come era ancora in quell’epoca: istituzione foucaultiana repressiva dai retaggi ottocenteschi e recalcitrante nei riguardi delle micropolitiche dell’Antipsichiatria degli inizi Settanta e delle volontà di riforma democratica del gruppo di Franco Basaglia.

Vi si trova rappresentata infatti, attraverso il nucleo di una storia che vede due ragazze scivolare a passi lunghi nella confusione di una alienazione mentale che le porterà ad essere internate, tutta quella galleria neo medievale di “cure moderne” quali la coercizione dei braccialetti e della camicia di forza, l’elettroshock, le docce con la canna sui corpi nudamente umiliati, le infermiere-aguzzine, i cortili recintati dove la schizofrenia è mantenuta in una cattività zoo-antropologica, ecc. Ovvio, allora, che nel 1971 all’uscita di La casa delle mele mature la non accettazione di tutto quello producesse un pregiudizio che portava a considerare il film come sadiano, fascista, per come spettacolarizzava infermità e disagio mentale. Oggi la sua visione richiama una percezione diametralmente differente, rivelando nel suo narrato crudele sia una dimensione di denuncia che una coerenza di scrittura non dimentica di una morale enunciativa tutt’altro che qualunquista.

Per il resto, tolta la breve apparizione di Erika Blanc, con la chioma lunga e rossa e il trucco forte di Io, Emmanuelle, e la comprimaria Susanna Levi, la vera attrice a dominare è una giovane Marcella Michelangeli, con i capelli maschi tagliati corti, che interpreta e si immedesima come sempre in un’estremista (diverrà poi una terrorista alla Ulrike Meinhof in un Mark di Stelvio Massi e pure in Italia: ultimo atto), in più drogata marcia come gli amici che si vedono nelle scene delle riunioni sovversive e nichiliste del dopo Sessantotto. Un’immedesimazione buia e artaudiana verrebbe da dire, alla luce di ciò che è rimasto nelle cronache attorno al film, cioè di come la Michelangeli sia stata colta durante le riprese da crisi di isterismo così ingestibili da farla ricoverare d’urgenza come degente su cui somministrare calmanti e legature di forza, negli stessi luoghi ospedalieri del manicomio nei pressi di Reggio Emilia dove il film veniva girato.