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Inside (A’ L’interieur)

2007
Titolo Originale:
A' l'interieur
REGIA:
Alexandre Bustillo, Julien Maury
CAST:
Alysson Paradis (Sarah)
Béatrice Dalle (La femme)
Nathalie Roussel (Louise)

Il nostro giudizio

Inside (A’ L’interieur) è un film del 2007, diretto da Alexandre Bustillo e Julien Maury

La cosiddetta ondata splatter francese, nonostante sia durata poco e si sia risolta in un nulla di fatto sia per quel che riguarda le carriere dei singoli registi coinvolti sia per il cinema horror d’Oltralpe che, dopo quella breve fiammata, non è più stato in grado di riproporre nulla di lontanamente simile (fatto salvo solo il recentissimo Raw), ci ha comunque lasciato in eredità una manciata di film estremi e viscerali, con un impatto mai troppo sopravvalutato sull’evoluzione estetica e contenutistica del cinema dell’orrore su scala mondiale. Tra essi, spicca di sicuro l’esordio della coppia Bustillo-Maury, in questi giorni disponibile in DVD e Blu-Ray grazie alla sempre meritoria Midnight Factory. All’apparenza, A’ L’interieur era un classico home invasion, con una sceneggiatura molto esile: una donna incinta (Alysson Paradis), che ha da poco perso il marito in un incidente d’auto, è da sola a casa la notte di Natale, a pochi giorni dal parto, e si ritrova alle prese con un’intrusa (Béatrice Dalle, dal personaggio senza nome, noto soltanto come La femme), intenzionata a strapparle via il nascituro dalla pancia. “Strapparle via” non si usa a caso, perché il suo obiettivo è proprio quello di aprire il ventre della protagonista con un paio di forbici. E già ci dice tanto su dove il film voglia andare a parare e su come l’impalcatura da home invasion si sgretoli sotto i colpi di un’esposizione continua, ferocissima, senza un solo istante di tregua, di atti efferati ai limiti dell’oltraggio e di dettagli gore dal sapore pornografico, affrontando anche l’argomento tabù della gravidanza.

Non è un azzardo assimilare, in parte, A’ L’interieur al body horror, e non solo perché il corpo della protagonista è in mutazione, ma perché è lo stesso titolo a suggerirci un’appartenenza al sotto-genere più anarchico ed esplosivo della cinematografia dell’orrore anni ’80: dentro, all’interno, termini che qui si riferiscono sia allo smembramento fisico dei corpi che entrano per caso in rotta di collisione con la furia della femme, sia al nascituro che, in alcuni momenti del film, diventa quasi un personaggio a sé stante, sia alla stessa casa in cui la vicenda si svolge. Ed è sulla casa, sull’interno della casa che andrebbe rivolta la nostra attenzione: se il terreno di conquista di questa guerra a due è il corpo di Alysson Paradis, anzi, una parte di esso, il vero campo di battaglia è l’appartamento, talmente imbrattato di sangue e fluidi vari nel corso del film, da trasformarsi in un qualcosa di vivo, organico e violato; una sorta di utero su scala più grande, una casa in cui la protagonista si nasconde dal mondo e in cui il mondo finisce per irrompere ugualmente.

Bustillo e Maury avevano intenzione di dirigere un film che, prima di tutto il resto, fosse bello da vedere. Niente macchina a mano traballante, uno stile di regia molto pulito e geometrico e un’idea ben definita e progettata sin dalla pre-produzione, di come costruire l’estetica del film. E infatti, tratto in comune con tutta la produzione estrema francese del periodo, A’ L’interieur è un horror girato come un film d’arte, che comincia in maniera realistica, catturando l’aspetto visivo di una fredda e piovosa giornata invernale e che, gradualmente, cambia pelle e assume il look di una fiaba nera intinta nel sangue. Il tono fiabesco è fondamentale per capire alcune scelte narrative opinabili: da quando La femme versa le prime gocce di sangue, non siamo più nella realtà così come noi la intendiamo e siamo entrati in una dimensione fantastica, quasi da horror soprannaturale. A’ L’interieur non possiede la lucidità di un Martyrs, e neanche i livelli produttivi di un Frontiers, ma dei tre grandi film che hanno scandito il periodo irripetibile dell’horror estremo francese, è il più svergognato e il più “povero”, forse l’unico realmente sperimentale.