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Il Trono di Spade – Stagione 6

2016
Titolo Originale:
Games of Thrones - Stagione 6
REGIA:
Jeremy Podeswa, Jack Bender, Miguel Sapochnik, Mark Mylod, Daniel Sackheim
CAST:
Kit Harington (Jon Snow)
Sophie Turner (Sansa)
Iwan Rheon (Ransey Bolton)

Il nostro giudizio

Il Trono di Spade – Stagione 6 è una serie tv del 2016, andata in onda per la prima volta in Italia nel 2016, ideata da David Benioff e D.B. Weiss.

La quinta stagione del Trono di Spade si era conclusa con quattro potenti cliffhanger: Sansa Stark e Theon Greyjoy si gettano dalle mura di Grande Inverno per sfuggire al loro aguzzino, Ramsey Bolton; Arya Stark, impossessatasi di una faccia della Casa del Bianco e Nero, uccide Meryn Trant, e di conseguenza perde la vista; lontana da Meereen, Daenerys Targaryen viene catturata da un’orda Dothraki; Jon Snow, appena eletto Lord Comandante dei Guardiani della Notte, viene accoltellato a tradimento da un gruppo di Confratelli. Chi ha un minimo di familiarità con i meccanismi narrativi conosce da tempo la verità sul destino di Jon Snow. Jon è, all’interno del Trono di Spade, il personaggio che incarna l’aspetto più tradizionalmente fantasy di una gigantesca, sanguinosa soap opera, e la sesta stagione ribadisce fortemente questo concetto. Jon è l’Eroe. E l’Eroe non può morire. Questa è la ragione per cui la Donna Rossa (che è anche il titolo del primo episodio della stagione) lo riporta in vita. Melisandre, che ricordiamo arrogante e machiavellica, è diventata un personaggio tragico, roso dai dubbi e dalle insicurezze. E nonostante tutto vede in Jon quella figura di salvatore, di predestinato, che Stannis Baratheon, in cui aveva riposto tutta la sua fiducia, non era riuscito ad essere. Da qui riparte la sesta stagione del Trono di Spade, la prima a farsi carico di una narrazione completamente slegata dal materiale letterario; la serie ha infatti ormai superato i libri di George R. R. Martin dai quali è ispirata, e il suo destino è ora unicamente nelle mani dei due showrunner Benioff e Weiss.

I primi episodi di Il Trono di Spade – Stagione 6 riprendono le file dei discorsi interrotti in Madre misericordiosa, lo sconvolgente finale di stagione dello scorso anno. Eppure, non tutte le sottotrame sono sviluppate con uguale efficacia: le vicende di Arya a Braavos, ad esempio, non sono avvincenti come ci si aspetterebbe da un personaggio così ben costruito, e girano un po’ a vuoto, lasciando infine Arya più o meno com’era all’inizio della sua avventura con gli Uomini senza Volto. Sia con lei che con Daenerys la serie quest’anno ha avuto più di un problema di scrittura: Benioff, Weiss e il team di sceneggiatori non sono riusciti a creare una narrazione coinvolgente e la sensazione è quella di due storyline un po’ stagnanti (escludendo il finale). Dall’altra parte, viene fatto un lavoro ottimo su Sansa Stark, che acquista nuovo spessore e nuovi spigoli caratteriali, diventando uno dei personaggi chiave della serie, in particolare per quel che riguarda il suo rapporto pieno di ambiguità con Petyr Baelish. In generale, la sesta è stata una stagione al femminile: l’alleanza fra Daenerys, Olenna Tyrell, le Vipere della Sabbia e Yara Greyjoy, sorella di Theon e pretendente al Trono di Sale delle Isole di Ferro; un personaggio tanto inverosimile quanto carismatico come la piccola Lyanna Mormont, la vera sorpresa di quest’anno; l’ascesa al trono di Cersei, fra i momenti culminanti del finale di stagione. Dispiace solo per il poco tempo concesso a Brienne, uno dei migliori characters della serie. La sensazione di essere prossimi alla fine è lampante: questa stagione non ha introdotto nessun personaggio nuovo di rilievo, ad esclusione di Euron Greyjoy (anche se ha visto due importanti ritorni come quello del Mastino e di Benjen Stark). E d’altra parte le ultime due puntate hanno fatto letteralmente una strage: Ramsey Bolton, Rickon Stark, Margaery e Loras Tyrell, l’Alto Passero e tutto il Culto, Tommen Lannister, Maestro Pycell. Inoltre il finale non lascia adito a dubbi. I pezzi sono schierati: Daenerys è finalmente partita alla volta di Westeros con flotta al seguito, ed è probabile che se la vedrà con Cersei, mentre Jon è acclamato come nuovo Re del Nord e affronterà la battaglia finale contro gli Estranei.

Col tempo, Il Trono di Spade si è imposto sia come una delle serie meglio scritte in circolazione (e questa stagione, nonostante tutto, ne è stata l’ulteriore conferma), sia come prodotto televisivo dagli elevati standard artistici: la qualità della fotografia e della regia sono andate crescendo in maniera esponenziale, e in questa stagione hanno raggiunto vertici altissimi, in particolare per quanto riguarda l’ormai famosissima puntata 9, La battaglia dei bastardi. La messa in scena della resa dei conti fra l’esercito dei Bolton e quello di Jon Snow sfida il cinema sul suo stesso campo, mettendo in gioco un dispiegamento di mezzi che finora in televisione non si era mai visto. Il regista Miguel Sapochnik ci trascina in mezzo al fango, al sudore e al sangue, fra il clangore delle spade e le urla di uomini morenti accatastati gli uni sugli altri, un’esperienza totalmente immersiva che fa da contraltare a momenti invece molto delicati, come una scena di dialogo illuminata solo da lumi di candela, o una sequenza solitaria di Sir Davos che vaga fra le colline innevate, tocchi di eleganza registica a cui in TV non siamo abituati. Concludendo, questa sesta stagione si contraddistingue dalle precedenti per il procedere più equilibrato e meno sincopato del racconto, per il non voler cercare sempre e comunque il colpo di scena o il twist narrativo, e per l’attenzione dedicata ai personaggi femminili a scapito di quelli maschili: Tyrion, pur mantenendo intatto il suo carisma, combina poco a parte perdersi in chiacchiere, e lo stesso Jon appare più insicuro del solito. Tuttavia resta un aspetto da sottolineare: nonostante sia fisiologico che alcune puntate possano apparire più “inutili” di altre, Il Trono di Spade mantiene invariata da ormai sei stagioni una solidissima coerenza di fondo, la sensazione che gli autori sappiamo esattamente dove vogliono andare a parare e che ogni scelta narrativa, per quanto possa apparire strana o discutibile sul momento, sia funzionale a una trama orizzontale perfettamente imbastita.