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Herbert West: Re-Animator

2017
Titolo Originale:
Herbert West: Re-Animator
REGIA:
Ivan Zuccon
CAST:
Emanuele Cerman (Herbert West)
Alessio Cherubini (Herbert West
Jr.)

Il nostro giudizio

Herbert West: Re-Animator è un film del 2017, diretto da Ivan Zuccon.

Ivan Zuccon torna a occuparsi di H.P. Lovecraft dirigendo Herbert West: Re-Animator, adattamento cinematografico dell’omonimo racconto: Zuccon è, in Italia, il regista lovecraftiano per eccellenza, non è l’unico ad aver trasposto Lovecraft ma sicuramente è l’autore che riesce a riprodurne più fedelmente l’immaginario orrorifico (L’Altrove, La casa sfuggita, Colour From the Dark e altri ancora). Se il Re-Animator di Stuart Gordon (1985) era rimasto abbastanza fedele al libro ma si discostava dalle atmosfere lovecraftiane, questo è meno fedele allo scritto specifico ma restituisce di più l’universo dell’autore. Il Re-Animator di Zuccon nasce innanzitutto come una sfida, una provocazione: in un mondo come il cinema italiano odierno dove produrre e distribuire è sempre più difficile per gli indipendenti, il regista decide questa volta di lanciare il film in due fasi; prima direttamente free sul web a puntate, poi unendo le puntate e gonfiandolo con nuove scene ha creato il lungometraggio, distribuito su Amazon Prime e successivamente in homevideo. Il protagonista è Herbert West (Emanuele Cerman), uno scienziato che perde la figlia Eleanor in un incidente: incapace di accettare il lutto, mette a punto un siero che riporta in vita i morti, ma ha l’effetto collaterale di renderli folli; col tempo cerca di perfezionare il siero, utilizzando varie cavie e coprendo gli omicidi compiuti dalla figlia ritornante.

Quando durante un viaggio nell’Altrove la ragazza viene sostituita dalla sua metà oscura, Herbert West Jr. (Alessio Cherubini), lo scienziato decide di recarsi a sua volta nell’altro mondo per ritrovare la figlia. Dire di più sulla vicenda è difficile, perché Herbert West: Re-Animator è un film più d’atmosfera e “di pancia” invece che di trama, così come gli scritti di Lovecraft, uno tra gli scrittori horror più difficili da trasporre. E questo lo sa bene Ivan Zuccon, che evita di dirigere una trama rigorosa, pur contando su una sceneggiatura molto curata, e predilige una narrazione paratattica basata su tableaux vivants: dal punto di vista narrativo, Re-Animator è ancora più estremo rispetto ai suoi precedenti film. Guardarlo significa immergersi in un non-tempo e in un non-luogo – intuiamo solo che è ambientato ai giorni nostri, ma ha poca importanza, perché ciò conta è l’atmosfera straniante e sospesa tra il laboratorio/obitorio e l’altra dimensione. Zuccon unisce alla vicenda letteraria di Herbert West un po’ tutta la cosmogonia di Lovecraft: dall’Altrove, una sorta di inferno raffigurato come un buio totale o come una valle desertica, ai Grandi Antichi, non raffigurati ma accennati velatamente da Eleanor West (Rita Rusciano); ciò che Herbert West ha scoperto non è infatti solo un modo per ridare la vita ai morti, ma una porta su un altro mondo (tipico tema lovecraftiano) da cui i morti tornano con un carico di follia per gli orrori indicibili che hanno vissuto.

Vedendo il film si ha quasi l’impressione di essere trasportati nelle storie più surreali e anti-narrative di Dylan Dog, come Morgana o Storia di nessuno – che non sono citazioni esplicite, ma un sostrato culturale che probabilmente ha influenzato la regia, storie di morti viventi e vivi morenti. Tutta la storia odora di morte e disperazione, ben espressa tanto dalla figura del dottor West (un Cerman particolarmente intenso e sofferente) quanto dai ritornanti, povere creature semi-dementi e consapevoli della loro condizione, e al centro di tutto c’è la “ricerca dell’anima”, un tema caro a Zuccon (vedasi Bad brains). Gli ottimi effetti speciali giocano un ruolo importante, pur non essendo la componente principale: vediamo ferite, fiotti di sangue, vomito putrescente, una gola tagliata, persino un’auto-deorbitazione, ma l’FX più impressionante e originale è quella sorta di placenta nera che i ritornanti strappano per rinascere. Lo stile è come sempre curatissimo: così cinematografico (anche se girato in digitale), con una fotografia dai colori delicati e la prevalenza dei toni scuri (comprese alcune scene in B/N), le inconfondibili luci oblique “di taglio” (autentico marchio di fabbrica del regista) e inquadrature minuziose sui dettagli ai limiti della video-arte (le gocce d’acqua che cadono, il siero che esce dalla siringa).