Featured Image

Heavy Trip

2018
Titolo Originale:
Hevi Reissu
REGIA:
Juuso Laatio e Jukka Vidgren
CAST:
Johannes Holopainen (Turo Moilanen)
Max Ovaska (Pasi/Xytrax)
Torstein Bjørklund (Christensen)

Il nostro giudizio

Heavy Trip è un film del 2018, diretto da Juuso Laatio e Jukka Vidgren.

C’è una piccola filmografia specifica sulla figura del metallaro e quasi sempre si tratta o di horror o di commedie. In entrambi i casi è sempre un’accozzaglia di stereotipi su un esponente particolarissimo e imprendibile, della fauna musicofila odierna. Per descriverlo basterebbe dirvi che è tra i pochi rimasti che ancora compra i CD e li ascolta in uno stereo, a casa. Almeno negli ultimi anni, il metallaro è diventato una specie di Amish della rock culture che vive fingendo che gli mp3 e Spotify siano leggende cyperpunk e attenendosi ai dettami culinari e comportamentali di Lemmy, Dio e Odino. Ovviamente per Dio intendiamo Ronnie James, ex-cantante dei Black Sabbath e Rainbow, nonché leader della band che trae nome da lui stesso, i Dio. Per quanto riguarda invece Dio-Dio, ovvero il creatore dei Cristiani, beh… non è che sia molto amato nel regno del metallo. Quello che traspare dalla caricatura che Laatio e Vidgren fanno del metallaro, in Heavy Trip – presentato al 36° Torino Film Festival nella sezione After Hours – è che può apparire minaccioso, pieno d’odio per il mondo, decadente e un po’ folle, ma sostanzialmente il metallaro è un innocuo disadattato, sognatore che vorrebbe solo vivere nel proprio mondo, fatto di riff spaccapietre, ululati gutturali emessi in segno di gioia e qualche piccola e discutibile digressione necrofila.

Oltre ad Airheads – Una band da lanciare, film diretto da Michael Lehmann del 1994 e la sempiterna rivisitazione di Spinal Tap di Rob Reiner, questo film ha soprattutto il pregio di ricondurci a certe atmosfere surreali e ironiche dell’ormai desaparecido Aki Kaurismäki, regista finnico che dal 1992 al 2002 ha imperversato tra Festival d’autore e studios americani, portando al pubblico occidentale un po’ di umorismo rockettaro del profondo nord. In merito a Heavy Trip è innegabile non pensare anche al suo Leningrads Cowboys Go America, ma con le dovute proporzioni. La Finlandia non è però, come vogliono farci credere gli autori, una terra gretta e ostile al metallaro, anzi. Negli ultimi trent’anni è forse il paese che ha maggiormente contribuito alla causa dell’heavy music, partorendo decine di band validissime e dal seguito consolidato sia in Europa che in America. Tenendo presente che i Finlandesi, come popolazione sono poco più di cinque milioni, facendo un calcolo approssimativo in relazione al numero di band metal venute fuori dal 1990 a oggi, possiamo anzi dire che almeno un membro di ogni famiglia deve vantare minimo un esemplare di metalhead che sposta polvere in casa scapocciando intorno a uno stereo.

Gli Impaled Rektum, la pseudo-band protagonista di Heavy Trip, sebbene sia diretta in Norvegia, patria del Black Metal e, a quanto pare, di un certo militarismo esasperato, in realtà sarebbe linciata su qualsiasi palco da Oslo a Bergen, visto che fa un genere devoto agli ultimi trend americani. Per quanto il bassista, pittato in faccia e austero come un devoto blackster al “santino” di Euronymous definisca il tipo di musica suonata dal gruppo con un trenino di inverosimili diciture (giusto rimando all’esasperante mania di etichettarsi delle moderne band metal) in realtà gli Impaled Rektum praticano un vergognoso death-core della peggior risma. Anche il trio guidato da Brendan Fraser in Airheads suonava in effetti una specie di punk un po’ più spinto. Di solito è qui che cascano tutti i registi che vogliono giocare col metal: sulla musica. Ma al di là di queste sottigliezze, c’è da dire che Heavy Trip riesce a strappare più di una risata. Non ha la pretesa drammatica e etno-sociale di un Metalhead e tanto meno l’intento oscuro e truce di Lords Of Chaos, però assieme a questi altri due titoli completa un ideale trittico sul mondo metal europeo che male non ci fa.