Featured Image

Gonjiam: Haunted Asylum

2018
Titolo Originale:
Gon-ji-am
REGIA:
Beom-sik Jeong
CAST:
Ha-Joon Wi (Ha-Joon)
Park Sung-hoon (Sung-hoon)
Mun Ye-Won (Charlotte)

Il nostro giudizio

Gonjiam: Haunted Asylum è un film del 2018, diretto da Jeong Beom-sik.

Che segreto si cela dietro Gonjiam, il mockumentary coreano capace, in patria, di battere ogni record d’incassi e di essere il secondo horror più visto di sempre dopo Two Sisters del grande Kim Jee-woon? A chi aggrotta immediatamente la fronte, memore delle baggianate offerte dal succitato sottogenere in tempi recenti e non, si richiede oggi quel minimo di fiducia residua per vedere e credere. Perché il nuovo film di Jeong Beom-sik si rivela opera pragmatica e stupefacente, capace di addentrarsi in un entroterra nel quale è fin troppo facile scivolare al primo movimento di macchina a mano. Lo fa, prima di tutto, attraverso una trama aggiornata ai tempi odierni dei live streaming: protagonisti sono infatti degli youtubers, proprietari del canale Horror Times, che decidono di compiere un’esplorazione all’interno dell’abbandonato manicomio di Gonjiam, in passato teatro di tragici eventi e adesso, secondo le leggende popolari, luogo infestato dagli spiriti. L’obiettivo è ovviamente un record di visualizzazioni ed il ritorno economico che ne comporterà. Armatosi di camere, GoPro e un drone, il gruppo si addentrerà nella struttura sulle ali dell’entusiasmo ma capirà presto che, come recitava un film di Jorge Grau, non si deve profanare il sonno dei morti.

Gonjiam costruisce la propria credibilità già nella premessa, attraverso un’apoteosi POV che è di per se stessa motore narrativo dei primi minuti di film. I personaggi (stesso nome dei loro interpreti, altro furbo escamotage del genere) provano i loro strumenti di ripresa ancor prima di essere sul posto, utilizzandoli anche per operazioni minime, come un simil-gioco della bottiglia improvvisato con una GoPro fatta girare su un tavolo. Quando poi sono sul posto, la troupe è vestita ad hoc con steadycam puntate sia sulla faccia che sul loro punto di vista, le quali, insieme a quelle sistemate nelle stanze e nei corridoi, vengono esaltate da un montaggio fatto di campi-controcampi e split screen. Il risultato è eccellente per la possibilità dello spettatore di seguire l’azione, anche perché ogni cambiamento di prospettiva è estremamente calcolato. Si offre inoltre, a chi guarda, un repertorio di situazioni evergreen, come alcuni momenti che richiamano non poco quello scomodo precursore di The Blair Witch Project. Aldilà però di questa impalcatura di tutto rispetto, Gonjiam riesce anche nell’impresa di smuovere quelle acque piatte.

Lo sviluppo della vicenda ci mostra una prima parte della missione in cui tutto, anche gli imprevisti, va secondo copione. Come i prankers di Scare Campaign, alcuni di questi youtubers hanno infatti immaginato una sceneggiatura dove l’inaspettato deve accadere (ne va delle views) e in cui gli altri loro compagni devono ignaramente assistere terrorizzati a fenomeni che in realtà sono costruiti a tavolino. Nella seconda parte, quella in cui il sovrannaturale arriva davvero, si registra invece qualcosa di inedito: in un crescendo di tensione, si subodora un ulteriore colpo di scena che, una volta compiutosi, è tra i più spiazzanti. Succede infatti che quanto ritenevamo possibile solo attraverso uno sguardo diretto avviene invece anche per mezzo del filtro tecnologico: l’onnipotenza, o l’onniveggenza, della macchina si rivela in realtà vincolata ad una forza assai più dominante, capace di mostrare la verità e al tempo stesso di svelare l’illusione. È così che Gonjiam compie quello step in più, forse l’ultimo di un percorso battuto sia da maestri che da dilettanti allo sbaraglio, candidandosi a pietra tombale di questo sottogenere. Più che una previsione, sia ben chiaro, è un augurio.