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Go Home – A casa loro

2018
Titolo Originale:
Go Home - A casa loro
REGIA:
Luna Gualano
CAST:
Antonio Bannò (Enrico)
Sidy Diop (Ibrahim)
Shiek Dauda (Fahran)

Il nostro giudizio

Go home – A casa loro è un film del 2018, diretto da Luna Gualano.

Presentato alla Festa del Cinema di Roma (sezione Alice nella città, dove ha vinto il premio Panorama Italia) e al Trieste Science+Fiction Festival, Go home – A casa loro è uno zombie-movie diverso da quelli che siamo abituati a vedere. La regista, che già aveva diretto il thriller/horror Psychomentary (2014), si cimenta qua nell’horror puro, un’opera dove l’orrore della fantasia diventa però una metafora dell’orrore sociale che l’Italia sta vivendo. Il paragone col maestro George A. Romero può sembrare eccessivo, ma non lo è, se preso naturalmente con le dovute differenze: come il regista americano usava gli zombi per parlare della società consumistica americana, così la Gualano utilizza i morti viventi come ritratto di un Italia imbruttita, razzista, chiusa, timorosa del “diverso” e sempre più esposta a derive neofasciste. Go home è, prima ancora che un horror, un film orgogliosamente politico e impegnato a sinistra, quel tipo di cinema militante che in Italia si faceva anni fa ma che oggi difficilmente vediamo: il cinema horror come metafora politica è una rarità nel nostro Paese, e il film in oggetto ha il merito di funzionare egregiamente sia nella componente orrorifica sia in quella sociologica. Sceneggiato da Emiliano Rubbi su un soggetto scritto dal medesimo insieme alla regista, si svolge a Roma e inizia durante una manifestazione di un gruppo di estrema destra contro l’apertura di un centro d’accoglienza per immigrati. Mentre iniziano tafferugli con alcuni manifestanti di sinistra, scoppia un’epidemia che trasforma tutti in zombi affamati di carne umana: il giovane Enrico cerca e trova aiuto proprio all’interno del centro che lui e i suoi compari non volevano. Mentendo sulla propria identità, Enrico è costretto a mettere da parte i pregiudizi per sopravvivere, mentre all’esterno i morti viventi cercano di entrare.

Già con il found-footage Psychomentary Luna Gualano aveva trattato sotto forma di horror alcuni temi sociali – la disparità di trattamento fra i cittadini, il potere della polizia – ma è con Go home – A casa loro   che raggiunge la maturità, attraverso la rappresentazione allegorica della società italiana odierna. I “leoni” di cui l’immigrata Sarah parla al figlio Alì come una minaccia da cui nascondersi sono sì gli zombi nella trama, ma nella realtà sono i neofascisti, gli xenofobi e, in generale, tutti coloro che vedono i migranti come invasori. L’epidemia che, senza una spiegazione, trasforma gli uomini in morti viventi, è una metafora del male dilagante nella società, è l’epidemia di ignoranza e pregiudizi che serpeggia nell’Italia di oggi, ignoranza rappresentata dai luoghi comuni che sentiamo nell’intervista iniziale ai manifestanti di destra. Proprio quell’ignoranza di cui è vittima il protagonista italiano, Enrico – perfetto l’interprete Antonio Bannò, con il suo volto spigoloso e la parlata da coatto romano – che nel corso della vicenda conosce una sorta di evoluzione, imparando a convivere con quelli che lui riteneva nemici, evoluzione però solo apparente visto che nel finale, con un atto di impressionante vigliaccheria, spinge Alì tra gli zombi per guadagnare tempo e mettersi in salvo. Un finale disperato, in cui non sembra esserci salvezza per nessuno, e coerente con le premesse – un male assoluto che diventa una lotta homo homini lupus senza distinzione né fra bianchi e neri, né fra destra e sinistra. La maggior parte del cast è composta da attori non professionisti, facenti parte del laboratorio permanente Il Ponte sullo Schermo, fondato dalla regista e formato da veri migranti, persone che hanno vissuto o stanno vivendo in centri di accoglienza: dunque, una sorta di “neorealismo”, supportato dall’utilizzo di varie lingue africane ed europee (sottotitolate), e un impegno concreto nel sociale attraverso lo strumento cinematografico.

L’andamento è quello tipico di un film horror basato sull’assedio – vengono in mente Zombi di Romero ma anche Il signore del male di John Carpenter – con un’alternanza fra i personaggi che si muovono negli interni (ricostruiti in due centri sociali) e gli esterni con gli zombi, che si discostano finalmente dagli infetti in stile 28 giorni dopo per riprendere l’aspetto putrescente e incespicante della tradizione romeriana. La fotografia cupa, il sound-design inquietante, gli effetti speciali e il make-up (ad opera di Giulia Giorgi) restituiscono un’atmosfera marcatamente horror, che trova lo zenit nell’invasione finale, ma per tutto quanto si è detto la regia concede ampio spazio ai personaggi: da una parte Enrico, dall’altra i migranti, ciascuno dei quali è alle prese con i propri ricordi, sogni e tristezze (il piccolo Alì che gioca a pallone, la madre studentessa di medicina, il magrebino biologo, il taciturno Ibrahim – interpretato da quel Sidy Diop visto in Gomorra – La serie). La colonna sonora è composta da Emiliano Rubbi ed Eugenio Vicedomini, ma è arricchita anche dalle musiche di altri autori (Piotta, Train to Roots, Daniele Coccia, Il Muro del Canto), che formano un insieme di ballate malinconiche. La regia di Go Home – A casa loro è efficace tanto nella componente horror quanto nella metafora sociale, e presta una minuziosa cura estetica non scontata nel cinema indie italiano. Da notare infine l’efficace locandina realizzata dal fumettista Zerocalcare.