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Gehenna: Where Death Lives

2016
Titolo Originale:
Gehenna: Were Death Lives
REGIA:
Hiroshi Katagiri
CAST:
Justin Gordon (Tyler)
Eva Swan (Paulina)
Simon Phillips (Alan)

Il nostro giudizio

Gehenna: Where Death Lives è un film del 2016, diretto da Hiroshi Katagiri.

Il cinema, si sa, è un lavoro da duri. Quello di genere, poi, non è certo pane per tutti i denti, men che meno per quelli traballanti e poco affilati (cinematograficamente parlando) di Hiroshi Katagiri, giovane special effects artist con alle spalle un curriculum di tutto rispetto (Jurassic Park III, X-Men: le origini – Wolverine, Hunger Games, Pirati dei Caraibi – Oltre i confini del mare, Pacific Rim), deciso a tentare il rischioso grande passo al lungometraggio con Gehenna: Where Death Lives, orrorucolo senza alcuna pretesa infarcito, come un panino imbottito della domenica, di una quantità immane di ovvietà e di cliché da rendere alquanto ardua la permanenza alla visione dei suoi centocinque minuti di durata. Prossimo all’uscita ufficiale in VOD, dopo oltre due anni di transito nei più rinomati festival di genere del circuito minore – tra cui il Shriekfest Film Festival, il Bram Stoker International Film Festival e il Night of Horror International Film Festival –, Gehenna: Where Death Lives ci proietta a capofitto in quel di Saipan, nelle Isole Marianne, dove Tyler (Justin Gordon), Paulina (Eva Swan) e Dave (Matthew Edward Hegstorm), coadiuvati dalla guida di Alan (Simon Phillips) e Pepe (Sean Sprawling), sono intenti a ricercare la location adatta su cui edificare un nuovo lussuoso resort, commissionatogli dal loro capo (Lance Henriksen).

Durante un sopralluogo, il gruppo s’imbatte casualmente in un vecchio bunker giapponese risalente alla Seconda Guerra Mondiale, costruito nei pressi di un’antica grotta teatro di oscuri e ancestrali riti pagani devoti al sangue e alla tortura. Rimasti incautamente intrappolati all’interno dello stabile sotterraneo, i cinque avventurieri dovranno vedersela con terribili entità ultramondane, decise a sfruttare le paure più recondite di ciascuno per asservire i propri malefici scopi. Sbandierando a gran voce, tra clame e tag line studiati a tavolino, la presenza straordinaria dello snodatissimo e denutrito Doug Jones in versione creepy-Biafra – il cui vero contributo, in verità, si risolve in una misera manciata d’inquadrature, nemmeno poi così tanto memorabili –, Gehenna: Where Death Lives rivela fin da subito la propria fisiologica miseria drammaturgica ed estetica, mettendo in scena un raccontino semplice semplice nel quale la paura deve essere ostinatamente ricercata col lanternino, nel mezzo di situazioni al limite del patetico che fanno uso di una spocchiosa iniezione di humor demenziale, incentrata sulla figura di una guida locale a metà strada fra Groucho Marx e un dandy asiatico. Parlare di “spavento” o “ansia” in relazione a un tale bislacco prodotto pare davvero fuori luogo; al massimo si potrebbe tirare in ballo la categoria della “noia profonda” quale possibile chiave di lettura degli infimi accadimenti che si susseguono, piatti e incorporei come la canicola di metà agosto, facendo desiderare allo stremato spettatore che la fine, tanto fisica quanto fruitiva, giunga liberatoria il più presto possibile.

Personaggi tagliati con l’accetta, recitazione al di sotto del minimo sindacale, apparizioni fantasmatiche da carosello infantile e snodi narrativi degni solo di un albo da colorare appaiono come gli ingredienti principali di una minestra del tutto priva di sapore e incapace di stuzzicare il minimo appetito, anche quello di un pubblico tutto sommato di bocca buona. Penosamente ingolfato nel mezzo di un incipit che richiama certe fascinazioni ritualistico-cannibaliche alla Deodato – con a sostegno un inserto di evirazione facciale tutto sommato appetitoso – e un epilogo che cita direttamente l’ingranaggio a spirale di L’inquilino del terzo piano, Gehenna: Where Death Lives pare certamente destinato a passare quasi del tutto inosservato dinnanzi all’iride e al cerebro dell’occasionale avventore, mancando totalmente di sostanza e spessore necessari ad acquisire una propria ragion d’essere nel mare magnum della produzione orrorifica contemporanea.