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Fino a prova contraria

2013
Titolo Originale:
Devil's Knot
REGIA:
Atom Egoyan
CAST:
Reese Witherspoon (Pamela Hobbs)
Colin Firth (Ron Lax)
Mireille Enos (Vicki Hutcherson)

Il nostro giudizio

Fino a prova contraria è un film del 2013, diretto da Atom Egoyan.

La macchina da presa indugia a lungo sull’ansa di un ruscello, che scorre placido in mezzo a un bosco di piante verdissime. Per tutti gli abitanti di West Memphis, Arkansas, e soprattutto per tre bambini di otto anni amici per la pelle, quello è il luogo ideale dove trascorrere un pomeriggio d’estate. Solo la musica minacciosa di sottofondo dona una patina di inquietudine: in quel luogo sta per accadere un crimine orribile. Così si apre il nuovo film di Atom Egoyan, con cui il regista canadese ritorna al cinema, tre anni dopo il mezzo passo falso di Chloe – Tra seduzione e inganno, vincendo il premio del pubblico al Courmayeur Noir in Festival.

Il plot racconta una vicenda realmente accaduta nel 1993, che destò enorme scalpore negli USA, ispirando il documentario di Joe Berlinger e Bruce Sinofsky Paradise Lost 3: Purgatory (inedito in Italia, ma candidato agli Oscar nel 2012) e il romanzo di Mara Leveritt Devil’s Knot: the True Story of the West Memphis Three. Su di esso si basa la sceneggiatura, scritta da un habitué delle situazioni borderline, lo Scott Derrickson autore e regista di The Exorcism of Emily Rose e Sinister, oltre che di svariati altri script di genere, in coppia con il sodale Paul Harris Boardman.

Gli West Memphis Three sono tre adolescenti incriminati e condannati per avere seviziato e ucciso tre bambini in gita nel bosco, alla periferia del paese. L’accusa si basa però su prove inconsistenti e indizi creati a bella posta, sulla base del presunto satanismo del trio. L’investigatore Ron Lax (un Colin Firth stazzonato ad arte, dalla vita complicata e misteriosa come nella migliore tradizione noir) non crede alla versione ricorrente, e indaga per conto suo, venendo a scoprire la catena di bugie e manomissioni alla base dell’accusa. Ma non basta: incalzata da un’opinione pubblica in rivolta, la giuria dichiara colpevoli i tre accusati, e il giudice li condanna a pene pesantissime.

Dopo 18 anni di ingiusta detenzione, il trio verrà scarcerato e l’omicidio resterà senza soluzione. Facile immaginare come una simile vicenda abbia potuto far presa nell’animo di un regista come Atom Egoyan: il conflitto tra realtà e finzione, il bigottismo di una piccola comunità che vede nell’altro-da-sé il Male pur racchiudendo i germi di un animo nero e malvagio, la nascita di una Fede attraverso le umane bugie di una verità processuale in fieri, non possono non avere stimolato la fantasia visiva di chi ha saputo in passato raccontare l’ambiguità fra le luci della ribalta in False verità (Where the Truth Lies, 2005), il passato sordido dietro l’apparente bonomia in Il viaggio di Felicia (Felicia’s Journey, 1999), l’elaborazione di un tragico lutto in una piccola comunità in Il dolce domani (The Sweet Hereafter, 1997).

Facile accostare, quantomeno per ambientazione, quest’ultimo a Fino a prova contraria. Ma la spettrale freddezza del racconto visivo e il peso quasi insostenibile di ogni suo fotogramma, sottolineato da continui flashback e flashforward, rendono Fino a prova contraria il frutto di un pessimismo senza fondo. Come se l’animo umano non si potesse mondare dal marciume di cui è destinato a nutrirsi, e sia costretto a convivere con i propri errori, a volte intravedendo una piccola luce (come la madre di uno dei tre bimbi assassinati, interpretata da una convincente e dolente Reese Whiterspoon), più spesso preferendo crogiolarsi nelle sue sciocche certezze, alimentate dal peso delle menzogne.

Con astuzia, Egoyan e gli sceneggiatori non forniscono certezze, ma accennano e ipotizzano delle possibili soluzioni, smentibili perché anch’esse puramente indiziarie. Si spiegano così alcuni salti logici nello script, come a sottolineare l’impossibilità del raggiungimento di una verità universale. Nerissimo e cupo nel suo gelido spessore, Fino a prova contraria inquieta, insinuandosi silenziosamente sotto pelle. Un bel ritorno, per un maestro del cinema contemporaneo.