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Fear, Love and Agoraphobia

2017
Titolo Originale:
Fear, Love and Agoraphobia
REGIA:
Alex D'Lerma
CAST:
Dustin Coffey (Cheat)
Linda Burzynski (Maggie)
Lori Petty (madre)

Il nostro giudizio

Fear, Love and Agoraphobia è un film del 2017, diretto da Alex D’Lerma.

Il drama si è rivelato, spesse volte, un genere particolarmente sensibile nell’offrire un caldo e accogliente rifugio alle disperate esistenze di tutti quei soggetti soli, emarginati e in qualche modo “diversi”, le cui disabilità, più o meno accentuate e potenzialmente incompatibili, finiscono sovente per coesistere, più o meno armoniosamente, nel medesimo universo fatto di lacrime e buoni sentimenti. Ed è proprio all’insegna di questa rodata (e abusata) tradizione “cinema for diversity” che prende le mosse Fear, Love and Agoraphobia, ennesimo prodotto indie di quelli nudi, crudi, veraci e voraci, il quale rinuncia a qualunque orpello estetico in favore di un racconto che vorrebbe essere un nuovo inno all’amore, all’insegna della (dis)abilità ma che finisce per risultare una stucchevole e spocchiosa esperienza didattica a budget ridottissimo. Scritto, diretto e montato (e chi più ne ha più ne metta) da tale Alex D’Lerma – qui alla sua seconda esperienza registica dopo una lunga carriera all’interno dell’industria dei media, dalla radio alla serialità televisiva, passando per l’actor teaching e la produzione – Fear, Love and Agoraphobia narra la strana e inaspettata relazione, prima amicale e in seguito anche sentimentale, fra due esseri agli antipodi ma entrambi accomunati dal medesimo senso di prigionia esistenziale: Cheat (Dustin Coffey di American Horror Story e 2 Broken Girls), ipocondriaco e agorafobico sin dalla più tenera età, costretto a dover affrontare un’insolita esistenza solitaria dopo la partenza dell’amata madre (Lori Petty di Point Break e Free Willy), e Maggie (Linda Burzynski di Animal Kingdom e The Mentalist), marine in congedo con un marito carcerato e senza più una casa in cui vivere e ricominciare. Inutile dire che queste due entità così diverse, eppure così simili, finiranno per darsi man forte a vicenda, sino a raggiungere uno strano e inatteso equilibrio fisico ed emotivo.

Transitato con relativo successo e visibilità attraverso una sfilza di festival minori e per lo più indipendenti – portandosi a casa una cosa come diciotto premi e altrettante nomination – Fear, Love and Agoraphobia non può tuttavia nascondere dietro gli allori di cui è stato (più o meno meritatamente) fregiato, la propria natura di prodotto a chilometro zero e dai mezzi alquanto risicati, così come si evince chiaramente da un impianto estetico particolarmente laccato e dalla struttura quasi televisiva, senza contare poi un montaggio insistentemente enfatico e, al contempo, a tratti quasi didascalico. D’Lerma e il suo operatore faticano a gestire i piani sequenza e i movimenti della macchina da presa senza farne notare la presenza fisica attorno agli attori, così come anche lo score non riesce ad amalgamarsi con coerenza e fluidità all’interno di una narrazione di per sé sicuramente ricca di potenzialità ma sviluppata in maniera alquanto maldestra, soprattutto nel dipingere l’introspezione psicologica dei due protagonisti.

Pare abbastanza evidente (seppur non certo dichiarato) il richiamo a un modello drammatico-romantico all’insegna dell’isolamento come già ben delineato da quel piccolo misconosciuto capolavoro sud-coreano che fu Castaway on the Moon (2009), anche se qui siamo distanti spazi siderali. Nonostante l’indubbia serietà della tematica trattata e la sincera intenzione da parte degli autori di trasporla in immagini con garbo e funzionalità, Fear, Love and Agoraphobia non supera, purtroppo, l’esame finale, frenato da un’ingombrante impianto formale ai confini dell’amatorialità – giungendo persino, in certi momenti, ad evocare mentalmente le spoglie atmosfere del delirante The Room di Wiseau – e dimostrando ancora una volta come non bastino buone intenzioni e qualche premio per sostanziare qualitativamente un prodotto mediale.