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Fate la nanna coscine di pollo

1977
Titolo Originale:
Fate la nanna coscine di pollo
REGIA:
Amasi Damiani
CAST:
Rita Calderoni
Gianni Dei
Marina Lotar

Il nostro giudizio

Fate la nanna coscine di pollo è un film del 1977, diretto da Amasi Damiani.

Scritto e diretto da Amasi Damiani, il signore dell’invisibile cinematografico italiano – tre quarti della sua filmografia sono, sono stati e probabilmente saranno per sempre un mistero -, Fate la nanna coscine di pollo è… Già, che è? Prendilo per la testa, prendilo per i piedi, non puoi dire esattamente cosa sia, e nemmeno che cosa non sia. Non è un horror – come lascerebbero presagire i titoli di testa, su facce dipinte che urlano, culminanti nel ghigno di uno scheletro, che torna anche nel cartello conclusivo. Non è esattamente un thriller, benché la ricerca di un tesoro scateni istinti omicidiari nei protagonisti; non è un erotico, neppure quello, con buona pace di qualche scena di sesso, dove assai improbabilmente Gianni Dei si fa Marina Frajese, la quale è a sua volta oggetto del desiderio di Rita Calderoni ma – almeno nella copia della Scuola nazionale di cinema – il fatto inter mulieres numquam consummatum est (c’è però una scena sospetta, super solarizzata, non si capisce per sbaglio del telecinema o all’origine, in cui sembra di intuire che succeda qualcosa tra le due, con intervento finale di Dei) . Un drammatico, resta da definirlo, in cui a spizzichi viene sparsa la spezia dell’exploitation ma senza che il piatto acquisti alla fin fine un sapore preciso.

Bisogna essere stati almeno una volta seduti allo stesso tavolo di Damiani – non continuo la metafora culinaria, faccio autobiografia, adesso – per avere un’idea di quanto il regista livornese abbia travasato se stesso nei suoi film. È uno che crede in quello che ha filmato, foss’anche la storia più assurda e improbabile. In qualche modo – o anche senza formula attenuativa – un autore. Qui, Damiani parte dal proverbio “chi trova un amico trova un tesoro”, per rovesciarlo nel personale assioma chi trova un tesoro perde gli amici, per il semplice fatto che li ammazza per goderselo da solo. Il motivo per cui la contessa Lida Ferro, seguace di non si capisce bene di quale dottrina religioso-esoterica, donna viziosa e nostalgica, proponga al trio dei protagonisti la sfida che li dannerà, non è sondabile, costituisce un mistero. Come il titolo del film, prima strofa di una filastrocca toscana, la quale non ha attinenza alcuna con la storia raccontata. La colonna sonora di Nedo Benvenuti sfrutta il refrain, in un coro, con effetti talvolta angosciosamente riusciti, come quando i tre, in attesa di una lettera che dovrà dare loro indicazioni su come trovare il tesoro, se ne vanno, chi qua chi là, per un bosco. Anche l’uso della mdp (Giovanni Varriano è il direttore della fotografia fisso di Damiani) conosce dei momenti virtuosi, o quantomeno eccentrici: in una sequenza, Lida Ferro è inquadrata in un campo lunghissimo, su un enorme terrazzo facente funzione di teatro – e il cui prodest? sta solo nel fatto che la Ferro è attrice, appunto, di teatro. Damiani è così.

I tre interpreti non sono messi insieme male. Dei è quello che funziona meglio, la Calderoni sembra un po’ smunta e la Frajese possiede un delizioso imbambolamento inespressivo, che fa gioco per quella che dovrebbe essere l’oggetto sessuale degli altri due membri del trio. Il sesso: punto dolente. Della versione del 1977 (uscita, mai uscita? Gli espertoni dibattono…), sappiamo che è relativamente casta, a parte l’incontro tra la Frajese e Dei. Ma qualche anno dopo il film uscì in una versione farcita di scene hard (ci avevano aggiunto anche Ajita Wilson), col nuovo titolo Gli amori morbosi di una contessina (ma un manifesto presenta la variante I desideri morbosi di una contessina). Damiani racconta di essere stato coinvolto in un processo per oscenità, quando il nuovo film, licenziosamente “accresciuto”, fu sequestrato, ma di avere dimostrato che le scene pornografiche non le aveva girate lui. E qui ci si ferma.