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Fantasticherie di un passeggiatore solitario

2015
Titolo Originale:
Fantasticherie di un passeggiatore solitario
REGIA:
Paolo Gaudio
CAST:
Alessia Alciati (Ragazza in libreria)
Angelique Cavallari (Sarah / Fantasma)
Nicoletta Cefaly (Chloe)

Il nostro giudizio

Fantasticherie di un passeggiatore solitario è un film del 2015, diretto da Paolo Gaudio.

Ci sono dei casi – abbastanza rari – in cui il cinema indipendente italiano riesce a travalicare i confini del “genere” in senso stretto per diventare espressione autoriale e genuina di idee e tecniche dove convogliano varie forme artistiche. È il caso del pluripremiato Fantasticherie di un passeggiatore solitario (2015) di Paolo Gaudio, vincitore della Semain di Nizza e di altri prestigiosi festival mondiali. Trattasi di un film unico e poliedrico: un fantasy con accenni horror, unito a un solido romanzo di formazione con momenti di commedia e dramma, girato in parte con attori in carne e ossa e in parte con la tecnica d’animazione Stop-motion. Gaudio dimostra di saper padroneggiare con sicurezza entrambe le forme (notiamo raffinatezze non comuni nelle inquadrature), pure così diverse fra loro, garantendo – grazie anche al fluido montaggio di Massimiliano Cecchini – un passaggio naturale fra i vari momenti. Nasce così un unicum fiabesco, trasognante e poetico, in cui lo spettatore è introdotto in un mondo fantasioso dove l’assurdo è sempre dietro l’angolo. La complessa sceneggiatura, scritta dallo stesso Gaudio, si snoda in tre momenti – tre epoche spazio/temporali diverse e sospese nel tempo. Nel 1876, lo scrittore Jean Jacques Renou (Luca Lionello) sta scrivendo un romanzo di formazione che è al contempo un ricettario fantastico, in grado di diventare realtà grazie a un Negromante catturato: trattasi delle Fantasticherie che danno il titolo al film. Ai giorni nostri, il giovane laureando Theo (Lorenzo Monaco) ritrova misteriosamente il vecchio libro e vuole mettere in pratica la Fantasticheria 23, che consente l’approdo in un magico luogo chiamato Vacuitas. Nel frattempo, in un non-tempo, un bambino e il suo anziano maestro seguono le istruzioni del manoscritto per trovare il medesimo luogo. Quest’ultima parte è quella realizzata in Stop-motion da Paolo Gaudio e Francesco Erba – Gaudio è un maestro di questa tecnica, lo abbiamo già apprezzato nell’episodio The black cat del collettivo P.O.E. – Poetry of eerie e ora sta lavorando a un progetto che unisce Lovecraft con Predator.

I bellissimi pupazzi animati fatti di plastilina, pregni di nostalgia e ritorno all’infanzia, sono solo una parte di questo complesso universo visivo e narrativo, in cui realtà e immaginazione si fondono. I tre piani narrativi risultano mescolati e indissolubili – anche visivamente, dato che la Stop-motion compare pure in alcune scene con Lionello. Gaudio è ispirato, per sua stessa affermazione, da maestri quali Terry Gilliam, Robert Zemeckis e Tim Burton – il fantasma della moglie di Renou (Angelique Cavallari) possiede fattezze squisitamente burtoniane – mentre per le animazioni si rifà a quelle di Phil Tippett e Harryhausen. Ma Fantasticherie di un passeggiatore solitario riecheggia anche il gotico/fantasy di Guillermo Del Toro: impossibile non pensare al Labirinto del Fauno, con le creature magiche e i giovani personaggi che intraprendono un viaggio fantastico, verso quel Vacuitas che è poi metafora di una ricerca interiore. Perché il film è, come il romanzo in oggetto, un’opera di formazione: una fiaba, se vogliamo, in cui si incontra la felicità e la magia, ma anche la paura e la morte, perché non esiste fiaba senza sofferenza. I personaggi hanno alle spalle un passato doloroso che il film svela man mano, fra lutti familiari e vuoti esistenziali: così è Renou, un magnifico Luca Lionello (figlio del celebre Oreste) nei panni di uno scrittore decadente tormentato dal ricordo/fantasma della moglie (di cui conserva una fotografia post-mortem, macabra usanza ottocentesca), e così è il moderno Theo, un ingenuo studente che affronta la vita con la bizzarra amica Chloe (Nicoletta Cefaly). Se i momenti con Lionello hanno una connotazione più gotica – non solo il fantasma e il demone nella scatola, ma anche la ricca scenografia con libri, cianfrusaglie e bottiglie di assenzio – le avventure di Theo nascono nella quotidianità, con momenti divertenti alternati a ricordi dolorosi, per poi spostarsi pian piano nel territorio del fantastico, che lungo il film assurge a metafora della vita e percorso iniziatico.

Fondamentale è l’incontro con Edgar Bacci, il proprietario della “Bottega Infernale” a cui dà vita Domiziano Cristopharo: il celebre regista esibisce le sue doti di performer teatrale regalandoci un personaggio irresistibile e dalla gestualità accentuata, bizzarro e sulfureo, a metà fra Edgar Allan Poe (notiamo il nome) e Coffin Joe, affiancato dall’assistente Mario (Fabiano Lioi, volto conosciuto dell’indi italiano). Paolo Gaudio può essere definito quasi un “Mario Bava 2.0”, per la grande creatività artigianale che limita al massimo l’uso della CGI ricorrendo a trucchi visivi, segno di un’ottima padronanza tecnica: oltre a quanto detto sulla Stop-motion, da notare l’efficacissimo Negromante animato, Lionello risucchiato nel cassetto, due potenti scene oniriche – Renou fluttuante in un vortice fra i suoi oggetti e Monaco che volteggia sopra la città disegnata – solo per fare alcuni esempi. L’interesse di Gaudio per Lovecraft spiega anche il circolo uroborico che si instaura fra i vari livelli narrativi: lo scritto di Renou ispira il comportamento di Theo e del bambino animato, ma il bambino stesso e il suo maestro sono protagonisti del libro scritto nel 1876 – una sorta di corto circuito spiegato dal potere del Negromante, che fa diventare reale ciò che viene scritto, appunto un demiurgo di marca lovecraftiana (pensiamo al Seme della follia di Carpenter). Le Fantasticherie di un passeggiatore solitario di Gaudio sono un’esperienza pressoché unica nel cinema contemporaneo: un’opera d’arte narrata come un lungo sogno, accompagnato dalle musiche evocative di Sandro Di Stefano, sempre dolcemente malinconiche e dal sapore “magico”, e dalla fotografia cangiante di Sandro Magliano, più gotica e anticata nelle sequenze con Lionello, più moderna e limpida in quelle con Monaco.