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Emmanuelle

1974
Titolo Originale:
Emmanuelle
REGIA:
Just Jaeckin
CAST:
Sylvia Kristel (Emmanuelle)
Alain Cuny (Mario)
Marika Green (Bee)

Il nostro giudizio

Emmanuelle è un film del 1976, diretto da Just Jaeckin.

Emmanuelle raggiunge il marito Jean, console francese in Tailandia, a Bangkok e qui inizia la sua lunga iniziazione erotica tra le braccia della giovane e inesperta Marie-Anne e e della matura ma glaciale Bee. Il marito la incita a liberarsi dell’ipocrisia borghese che la vuole casta e fedele e la asseconda nelle sue fantasie. Sarà compito dell’attempato Mario, però, rivelarle il mistero della sua natura… Non c’è da stupirsi che lo scandalo e il gran parlare di sé che aveva fatto il romanzo della Arsan, avesse finito per coinvolgere anche il cinema. La Trinacria Films di Parigi si assicurò per prima i diritti e, nonostante gli annunciati problemi di un’operazione del genere, mise subito in cantiere quello che sarebbe stato il primo film di una lunga serie. Ma perché Emmanuelle faceva così paura? Perché più di quello che mostrava, il film metteva in crisi il concetto di coppia incitando all’amore di gruppo, ai rapporti omosessuali, alla masturbazione. Cercava di fare un distinguo netto tra sesso e amore (il primo condivisibile con chiunque, il secondo con una persona sola) e smitizzava il valore della fedeltà. Filosofia spicciola, da forum di Penthouse, che però è bastata a creare scandalo e a oltraggiare le menti semplici e impreparate del popolo bue di quegli anni. In Italia lo spettatore bambascione e finto bacchettone non ha tardato a far sentire la sua voce con le solite lettere di protesta agli enti preposti.

Emmanuelle, già fortemente tagliuzzato al momento dell’uscita nelle sale (mancava l’amplesso nella toilette dell’aereo, la spogliarellista tailandese che fuma dalla vagina, il lungo bagno nudo nella piscina e gran parte dell’autoerotismo della giovane Christine Boisson di fronte alla foto sorridente di Paul Newman), inizia un lungo calvario giudiziario che parte con un sequestro, rischia quasi il rogo e finisce con la piena assoluzione. Una consuetudine per molte pellicole dell’epoca, che ne ha spesso decretato la morte commerciale, ma per un film che viveva già di una grossa eco ancora prima dell’uscita in sala, gli incassi delle settimane precedenti al sequestro e quelli delle varie riedizioni hanno ampiamente ripagato anche i distributori nostrani. Il caso Emmanuelle è spiegabile come figlio dei tempi che lo hanno partorito. Un prodotto ruffiano senza dubbio, che da una parte prometteva (non mantenendo) “sequenze erotiche mai viste prima” e dall’altra giocava la carta dello scenario esotico inedito e intrigante per una società che non aveva ancora dimestichezza con il National Geographic. Un’operazione simile oggi sarebbe impensabile, basti pensare alla tiepida accoglienza riservata a Orchidea selvaggia, una sorta di Emmanuelle moderno. Erano altri tempi, come si suol dire, ma c’era di più. Emmanuelle per primo ha proposto una rappresentazione del sesso elegante e patinata (da Playboy), un modo di intendere l’eros sicuramente glamour ma anche molto sterile, un sesso borghese e snob, simile alla società raccontata nel film. E come quell’annoiata società, anche Emmanuelle alla lunga finisce per stancare non poco. Ma non è questo il punto; formalmente l’operazione aveva una sua logica d’immagine impeccabile. Non a caso a dirigere è stato chiamato il fotografo erotico Just Jaeckin che si è preoccupato maggiormente dell’aspetto visivo che non della trama di per sé esile.

Se nel libro Emmanuelle era una ragazzina viziata della high society francese, che durante il suo viaggio di iniziazione a Bangkok passava da una sessualità dirompente ma immatura a un’attitudine consapevole ed esplicita, nel film le cose sono state semplificate ancora di più. Certo, Emmanuelle vivrà comunque il suo turbamento d’amore con la bella archeologa e scoprirà, alla fine, di essere una gran puttana tra le braccia dell’attempato Mario, ma tutto questo passa in secondo piano. L’interesse di Jaeckin è focalizzato solo sull’inquadratura, la luce, i contrasti cromatici e non vede personaggi, la storia e, soprattutto, i ritmi narrativi. A poco serve il trucchetto di spostare la scena topica dell’aereo a metà film (nel libro era nelle prime pagine), per depistare lo spettatore e fargli credere che Emmanuelle non sia, poi, quella gran ninfomane che in seguito si rivelerà. In verità allo spettatore non interessa nulla, gli preme solo che gli attori comincino a scopare il prima possibile. In questo, la messa in scena di Emmanuelle è simile a un porno. Non c’è coinvolgimento e l’unico motivo di interesse è la scoperta di una nuova e disponibile ninfa dell’universo erotico mondiale: la ventiduenne Sylvia Kristel di Utrecht, Olanda, d’ora in avanti icona erotica per un’intera generazione.