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Dandy

1988
Titolo Originale:
Dandy
REGIA:
Peter Sempel
CAST:
Blixa Bargeld
Nick Cave
Campino

Il nostro giudizio

Dandy è un film del 1988, diretto da Peter Sempel

Uno stream of consciousness in celluloide. Un caleidoscopio onirico di immagini, sottotitoli, scene illogiche, apparentemente incoerenti e non consequenziali, inframezzate da una voce fuori campo atta a invocare stati di alienazione e a destabilizzare chi si trova a guardare questa sottospecie di film. Un lavoro visivo non propriamente esaltante, va detto, ma che nondimeno sa rendersi quanto basta appagante per il suo mash-up contenutistico decisamente variegato. La locandina ritrae un Nick Cave d’altri tempi assieme a un giovane Blixa Bargeld, leader degli Einstürzende Neubauten (nonché chitarrista della backing band di Cave, i Bad Seeds), ancora con un look e una risplendente capigliatura in stile dark/goth. Un’immagine senz’altro fuorviante, quella scelta dal regista, dal momento che nell’osservarla si potrebbe essere indotti a pensare che i ruoli dei due “partners in crime” siano centrali o comunque funzionali alla trama di Dandy. Ma il problema è che qui non vi sono ruoli, e non c’è nemmeno una trama. «Dandy = il mondo in una tazzina di caffè. Dandy= un film che mette in scena un viaggio. Dandy= non racconta una storia nel vero senso della parola. Dandy = un documentario dei nostri tempi. Realtà e sogno, scene documentaristiche e scene simboliche si susseguono fra loro, completandosi e contraddicendosi, creando energia, atmosfera, un grande mosaico…». Con queste parole veniva presentato il lungometraggio di Peter Sempel (girato inizialmente in 16mm, poi portato a 35) in quel del Cinema Giovani (negli anni evolutosi nel Torino Film Festival), nella sezione Fuori Concorso, annata 1988.

Per il soggetto (anche qui, termine da prendere con le pinze), il regista sosteneva di essersi ispirato a Candido, il racconto di Voltaire, in cui l’omonimo personaggio, di capitolo in capitolo, travalica mondi, culture, situazioni, imbattendosi in individui di ogni genere, estrazione e condotta. Candido percepisce le inquietudini interne ed esterne degli esseri umani, l’eterno carosello dei desideri inesauditi che culminano, spesso e volentieri, nella distruzione del sè. Per poi scoprire, alla fine, che il senso del tutto non può che essere circoscritto all’idea di “coltivare il proprio giardino”. L’importanza del testo è ovviamente intangibile, anche se resta da capire quale possa essere la sua reale attinenza col lavoro di Sempel, da cui certamente si intravede, in ogni caso, una certa vena simbolica e allegorica; più volte, per esempio, ricorre la scena del cadavere di un pesce gettato al suolo, forse per trarre una qualsivoglia analogia tra il mondo animale e quello umano. Dieter Meier, del duo svizzero anni Ottanta Yello, vive in simbiosi con una teiera, per mezzo della quale raccoglie acqua di fiume nei luoghi più disparati, arrivando fino al Gange, notoriamente la fonte più pura che possa animarsi sulla terra. La mitica Nina Hagen appare per concedere qualche smorfia incerta alla telecamera, ma la si nota anche a canticchiare insieme all’allora amica Lene Lovich (le due avevano realizzato anche un singolo insieme, Don’t Kill The Animals).

Blixa gioca a dadi e beve una pinta in compagnia di Campino, leader della storica punk band crucca dei Die Toten Hosen (ma meglio non soffermarsi sulla giacca kitsch che indossa). Poi, ancora Blixa intona enfaticamente “Death Is A Dandy On A Horse”, da cui il titolo del film. Il performer giapponese Kazhuo Ohno è ripreso a danzare assieme al figlio Yoshito, mentre Nick Cave improvvisa con una chitarra acustica (decisamente scordata) una curiosa versione di “You Better Run To The City Of Refuge” dei The Moody Blues. Altrove, invece, lo si vede armeggiare in modo passionale con una pistola. Accreditato, nei titoli, come “Nicholas Cave”, il cantante chiarì in seguito il perché della sua presenza in Dandy: «Si trattava di un film sperimentale da parte di questo regista tedesco/australiano, il quale ci diede un sacco di soldi perché stessimo di fronte alla telecamera con una pistola o con una chitarra. Io e Blixa ci facemmo coinvolgere; all’epoca eravamo veramente poveri». E anche piuttosto sconvolti, dovremmo aggiungere. Dunque questo è Dandy, un viaggio onirico – che fluttua attraverso Berlino, Amburgo, Madrid, New York, passando per le montagne dell’Himalaya e arrivando fino al Cairo – che risulta, in definitiva, maggiormente interessante se inteso più semplicemente come video-arte concettuale, per quanto in questo caso l’idea del concept possa risultare un po’ scontata (la solita riflessione sulla decadenza annessa all’era post-industriale?). Dandy finisce quindi senza arrivare da nessuna parte. Ma forse è qui che si focalizza la sua centralità.