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Curse of the Witch’s Doll

2018
Titolo Originale:
Curse of the Witch’s Doll
REGIA:
Lawrence Fowler
CAST:
Helen Crevel (Adeline Gray)
Philip Ridout (Arthur Harper)
Layla Watts (Chloe Gray)

Il nostro giudizio

Curse of the Witch’s Doll è un film del 2018, diretto da Lawrence Fowler.

Non è ormai più un mistero il fatto che l’avvento della postmodernità abbia portato con sé il totale azzeramento (se non anche annullamento) del concetto di “originalità”, inaugurando una buia e svilente epoca interamente dominata dalla compulsiva (e, spesso, moralmente equivoca) pratica del copia-incolla di materiali già esistenti. Alla luce di tale considerazione, dunque, non stupisce assolutamente come il rip-off appaia oggi la pratica strategica in assoluto più impiegata (e abusata) nell’industria dell’audiovisivo 2.0, resa tristemente e giocosamente celebre (dipende dai punti di vista) da un’autentica istituzione del trash contemporaneo come la Asylum. Se però i prodotti sfornati con estrosa e calcolata (in)coerenza dalla casa di produzione di David M. Latt dimostrano quantomeno la decenza (e l’intelligenza) di non prendersi mai in alcun modo sul serio, ecco che un’opera quale Curse of the Witch’s Doll pecca inavvertitamente di un’evidente presunzione nel volersi ergere quale cugina (povera in canna) dell’ormai celeberrima Annabelle, finendo tuttavia per scivolare rovinosamente sull’abrasivo selciato della serie B più buia e deprimente.

Diretta con evidente passione, ma con altrettanto evidente penuria di risorse tecniche e spessore drammaturgico, dal gallese Lawrence Fowler – un tipetto in verità non poi così tanto anonimo, soprattutto dopo il breve transito al Festival di Cannes 2012 con il discreto corto drammatico Raine River –, Curse of the Witch’s Doll ripropone, senza alcun briciolo di novità, la figura archetipica del feticcio maledetto – una sorta di ibrido mal riuscito fra il demoniaco pupattolo di James Wan e il design orrorifico-infantile del Chucky di La bambola assassina –, qui declinato nella forma di un’inquietante bambolotto nel quale la disperata Adeline Gray (Helen Crevel) crede possa annidarsi lo spirito inquieto di una vendicativa strega, responsabile dell’improvvisa sparizione della figlioletta Chloe (Layla Watts). Muovendosi stranita e spaventata fra gli interni di un’immensa magione di proprietà di un ricco e attempato filantropo (Philip Ridout), la donna inizia ben presto a confondere la realtà con l’immaginazione, vedendo sempre più incrinata la propria sanità mentale.

A raccontarlo in questi termini, il plot alla base di Curse of the Witch’s Doll, seppur già viziato in partenza dai pesanti effluvi del già noto, potrebbe rivelarsi potenzialmente appetibile per un pubblico amante di certi topoi appartenenti a quel caro cinema di genere devoto alla figura del giocattolo quale ricettacolo di entità ultramondane cariche di astio e dolore. Tuttavia, fin dall’inequivocabile titolo – e dall’ancora più inequivocabile incipit in costume –, appare ben evidente come l’eccesso di carne al fuoco (maledizione + bambola malefica/assassina + stregoneria) avrà certamente modo, di lì a poco, di causare una fastidiosa indigestione, per giunta aggravata dai reflussi di una recitazione a dir poco imbarazzante e di un evidente semi-amatorialità che trasuda, viscida e lezzosa, da ogni singola inquadratura. Transitando zoppicante (e al limite del plagio) fra le suggestioni gotiche di The Boy e l’immaginario animatronico-artigianale dell’iconico Puppet Master, Curse of the Witch’s Doll procede senza alcun ritegno né vergogna verso uno sconclusionato epilogo che si permette addirittura di scomodare lo Shutter Island scorsesiano, senza mai veramente riuscire a gettar fuori la testa dalla densa melma dell’inettitudine e della mediocrità. Se aggiungiamo infine delle improbabili piante rampicanti realizzate con un’imbarazzante CGI, ecco che allora il desolante quadro d’insieme appare finalmente (e tristemente) completo.